Non respiro, il cielo sta cadendo, la mia lingua è in fiamme...
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Allora, Amy e Penny hanno qualcosa da nascondere e così, per non farsi capire dagli altri, usano l’alfabeto farfallino, una cosa tipo che prendi le parole, le spezzi in sillabe e in mezzo ci metti tante effe: il risultato è una tiritera impossibile a comprendersi. Li per li, penso sia una delle tante invenzioni del mio telefilm preferito e invece no, parlando con un’amica, scopro che l’alfabeto farfallino esiste davvero, lei e le sue sorelle lo usavano quando non volevano farsi capire da quegli stupidi dei maschi. Felice di ripensare a una cosa bella della sua infanzia, me ne fornisce poi un immediato esempio e, cavolo, tutte quelle effe le infila in modo talmente rapido che io, stupido tra gli stupidi, non capisco davvero “gnente di nulla”.
Aggiungo che, or non è molto, ho conosciuto una scimmia urlatrice e che, in un periodo abbastanza nero, le sue urla son servite a farmi stare meglio. Che poi questa scimmia, o scimmietta, sarebbe una ragazza, una cantante di nome Julie Christmas che io proporrei di fare santa, provateci voi a tirar su di morale uno come me. Alla signorina Julie e al suo gruppo Made Out of Babies ho poi aggiunto, dosi massicce di Bryter Later che, tra i dischi di Nick, è quello che lenisce meglio le ferite, insomma dieci gocce di caos e dieci di armonia e poi di corsa tutti a nanna. Ora però è giunto il momento che faccia il suo ingresso la vera protagonista di questa storia, ovvero Miss Scoreggia di Rana, del resto in sala riunioni son tutti li che l’attendono con ansia. Dieci nove otto sette sei cinque quattro tre due uno zero...
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Giunta fino a noi a rischiarar le tenebre, Miss Scoreggia di Rana sfoggia il suo perfido sorriso latte miele, è un trucco vecchio come il mondo, ma funziona sempre. In questo caso è il prodromo perfetto alla reprimenda in socialese stretto, lingua che, pur maneggiando alla perfezione, preferirei davvero non conoscere.
Ecco allora che, dopo i convenevoli e una pausa non meno che perfetta, le prime frasi si incastrano in una soave impalcatura di nebbia, ovvero il modo più elegante per soffiar fumo davanti ai nostri occhi. Con me però, cara Miss Scoreggia, lo sai che non funziona, credi che non ti veda mentre assapori il suono delle tue parole, credi che non mi accorga di come le giri e le rigiri in bocca un attimo prima di sputarle fuori? Merda sei in preda a una sorta di piacere preorgasmico fatto di potere e raziocinio, col primo che disegna gesti e postura e il secondo che scolpisce da par suo ogni cazzo di significante.
Ah, sei troppo intelligente per non sapere che la tua è solo fuffa, eppure in qualche modo ci credi, del resto l’ars retorica è una cosa che hai nel sangue, una merda di biochimica che ti scorre dentro. Così, alla fine, quello che vien fuori è un discorso che occulta con grazia un brivido cattivo, più che una pescatrice di anime, sei una pescatrice di gonzi, quando non ci si accorge dell’amo il verme ha sempre un ottimo sapore.
Ma ora ecco solo per voi un estratto del suo discorso,“Dobbiamo superare la fase epidermica, la soggettività è un pallido egotismo che allontana il fine. Occorre ripulire lo sguardo dal suo fondo routinario e, senza alcun intento giudicante, far emergere le criticità dormienti. La sensibilità così preziosa di ognuno di voi va agganciata a un metodo virtuoso e vivificata da una spontanea discussione permanente. Chi non ha il gusto della sfida è solo uno che ha paura del futuro, noi siamo professionisti e come tali ci poniamo degli obiettivi. Chi fa è un tramite tra i bisogni individuati e ogni frammento di possibile.” Accidenti scoreggina, ti stai superando e stai tirando fuori una roba che nemmeno Elly Schlein in acido, potresti addirittura farla tu la segretaria e io, nel segreto dell’urna, magari ti voterei pure.
Poi, a un certo punto, ecco l’inaspettato, almeno per me che ti ho sempre considerato un iceberg. Perché, a scapito della prosopopea di cui sei maestra, appare sul tuo volto un velo di stanchezza, ma, per tua fortuna, non dura che un attimo. Tra l’altro me ne accorgo solo io, sarà che ti conosco come le mie tasche, sarà che questa è gente che non vede nemmeno un prete nella neve.
Li per li ci rimango, quasi avessi visto un principio di Francis Bacon sul tuo volto, chissà magari è stata una sorta di allucinazione oppure una conseguenza dell’ora post prandiale. Oppure chissà, magari sei stanca sul serio, in fondo sono anni che porti in giro questa merda e, anche se hai imparato a farlo sempre meglio, può esser pure che una parte di te abbia capito che il gioco non vale la candela. Fa niente, non sono ancora pronto a considerarti umana, anche perché il cavalier servente che ti sei portata appresso non fa altro che sorridere e far “si, si” con la testa, merda siete una coppietta mica da ridere, io vi chiamo con affetto Adolf e Eva, con Adolf che naturalmente sei tu.
In ogni caso, anche se da buon cavallo pazzo potrei permettermi di non dare importanza alle tue parole, il richiamo della foresta mi obbliga ad odiarti almeno un po’. Così, concentrandomi sul tuo collo diafano e selvaggio, cerco di figurarmi una fantasticheria vagamente horror, due mani nervose che si accaniscono contro il tuo candore e stringono, stringono, oh come stringono. Però dai, forse è un po’ troppo, non ho nessuna voglia di strozzarti, nemmeno per gioco e nemmeno in sogno. Così passo alla modalità Arturo, assai più ironica e meno truculenta.
Dovete sapere che l’Arturo ogni tanto faceva capolino alle serate parnassiane, eventi dove tutta una serie di insulsi poetini leggeva versi come minimo di merda. E allora, se deve esser merda, che merda sia, deve aver pensato il nostro, così una sera, mentre si stava annoiando alquanto, prese ad aggiungere proprio quella santa parolina ad ogni verso declamato da quei tangheri. Ecco allora che, anche se solo nella mia mente, decido di fare altrettanto e quello che vien fuori è, all’incirca, questo: “Dobbiamo superare la fase epidermica, merda, la soggettività è un pallido egotismo che allontana il fine, merda. Occorre ripulire lo sguardo dal suo fondo routinario, merda e, senza alcun intento giudicante, merda, far emergere le criticità dormienti, merda.” Poi, anche se la cosa mi diverte e un ghigno mezzo scemo e mezzo cattivo mi si stampa in volto, decido che pure questo è troppo e passo all’alfabeto farfallino, sempre una presa per il culo, certo, ma più surreale e dolce. Tra l’altro lei, proprio nel momento in cui l’idea mi scocca in testa, sta dicendo questa cosina qui: “l’intrinseca veridicità del metodo è suffragata non solo dai fatti, ma da tutta la letteratura specifica”. C’è un solo problema, la frase è troppo lunga e allo sfarfalleggiamento non sono ancora avvezzo, allora prendo solo la parola “veridicità” e dentro me la ripeto come un mantra.
(fe)ve(fi)ri(fi)di(fi)ci(fa)tà...
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Ah, scoreggina, dentro di me ho un sorriso che mi piacerebbe regalarti, ma adesso la riunione è finita e il rompete le righe mi porta in ufficio dove mi rintano nei cavoli miei. A un tratto sento la tua voce in corridoio, sei al telefono e non so con chi stai parlando e io, io trasecolo perché adesso la tua stanchezza non è solo questione di un attimo, tra l’altro non sei più Miss Scoreggia di Rana, ma solo un casuale agglomerato di atomi in balia di tutta la merda del mondo. E allora nella mia testa, anch’essa regno del caos, il mio omaggio per te non è più l’alfabeto farfallino, ma questo disco dei Made Out of Babies, il fatto è che siam sulla stessa barca e tutti e due abbiamo bisogno della nostra cara scimmia urlatrice. Ah, sei finita dentro le cronache di un luogo virtuale chiamato debaser, un piccolo gruppetto di fanatici di musica, allora mi tocca aggiungere almeno una zot (e cos’è una zot te lo spiego un’altra volta)…
Zot: A destra l’alfabeto farfallino, a sinistra l’urlo della farfalla, in mezzo la terra di nessuno. Merda merda merda dice il poeta e fuoco fuoco fuoco dice la scimmietta, sarà che è proprio la parola fire che la ragazza urla meglio oppure sarà che è proprio Scoreggia di Rana che canta anche se non lo sa…
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Non respiro, il cielo sta cadendo, la mia lingua è in fiamme…
Trallalà...
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