Si tratta indubbiamente di letteratura cosiddetta "d'intrattenimento", chiariamolo subito, togliendoci il pensiero. Si tratta anche, a mio modo di vedere altrettanto indubbiamente, di un romanzo raffinato e fortemente immaginifico, una splendida prova di maturità per una scrittrice che, già con l'esordio del 2011 (La canzone di Achille) aveva ampiamente dimostrato coraggio, visione e, soprattutto, stile. Cimentarsi in "retelling", peraltro in chiave sicuramente "moderna" sotto vari aspetti, di soggetti così iconici della mitologia classica non è sicuramente cosa da tutti, mi pare quasi inutile rimarcare quanto potrebbe essere facile scadere nel pacchiano, quindi i notevoli esiti artistici di questa scrittrice americana, classe 1978, meritano ulteriori, particolari elogi.

Per come la vedo io, quello che rende La canzone di Achille e, appunto, questo Circe, uscito nel 2018, dei libri di valore, è l'originalità dell'approccio. Innanzitutto, cosa non sono i primi due romanzi di Madeline Miller? Non sono dei fantasy, l'universo e la magia in esso contenuta sono nè più nè meno che quelli dei miti classici, sotto questo aspetto l'autrice non aggiunge nulla di suo, limitandosi a rendere il tutto più vivido attraverso una prosa elegante ma mai eccessivamente barocca, che si fa leggere con eccellente scorrevolezza. E non sono nemmeno, per fortuna, degli young adult, nonostante si tratti di libri particolarmente adatti ad un pubblico adolescente con buone e sane attitudini letterarie; tuttavia chiunque, a qualsiasi età, può tranquillamente fruirne con soddisfazione. Ora, in termini di complessità, Circe rappresenta un "passo avanti", se così vogliamo chiamarlo, rispetto all'esordio, per una ragione molto semplice: anzichè svilupparsi su un rapporto tra due personaggi principali "fissi", qui siamo più vicini al monodramma, la protagonista è unica, gli innumerevoli personaggi che, nel corso della storia, le si avvicineranno, rappresentano esperienze, tappe di un processo di crescita. Tappe che hanno nomi "famosi" come Elio, Prometeo, Scilla, Pasifae, Dedalo, Hermes, Medea, ovviamente Odisseo, Atena e, infine, Penelope e Telemaco. Detto così, potrebbe anche sembrare una sorta di pretenzioso "pastiche". Ambizioso? Si. Pretenzioso? No, ve lo assicuro.

Se proprio vogliamo dargli un etichetta, allora direi che Circe è fondamentalmente un romanzo di formazione; la "perfida maga", inizialmente una creatura quasi amorfa, nasce alla corte del titano Elio, personificazione del Sole, ai confini del mondo, senza apparenti poteri se non quello dell'immortalità, senza uno scopo nella vita. Sarà l'incontro con Prometeo (chi meglio di lui?) ad accendere in lei la prima scintilla di quell'inquietudine, quell'intraprendenza e personalità che la caratterizzeranno per tutto il suo percorso, e a separarla dalla non-esistenza grottescamente decadente in cui langue la sua specie. Esiliata sull'isola di Eea, la vedremo innamorarsi di Dedalo, personificazione dell'ingegno mortale, e successivamente di Odisseo. Ma, soprattutto, vedremo la maga, la donna, e successivamente la madre, emergere dall'inespressivo involucro della divinità. Tutto questo succederà in modo estremamente lento e graduale, ogni evento circoscritto da interludi di riflessioni e solitudine, fondamentali per la struttura narrativa e stilistica del romanzo. Un elemento di indubbia originalità è il modo con cui la Miller caratterizza personaggi Atena e soprattutto Odisseo. Pallade ha il ruolo, per lei del tutto inusuale, quantomeno nella cultura "pop" contemporanea, dell'antagonista, fredda e arrogante, lontana dall'umanità tanto quanto la assai meno "blasonata" Teti ne La Canzone di Achille; L'Odisseo di Madeline Miller è invece un uomo profondamente imperfetto, prigioniero della propria eccezionalità, che nel tempo lo porterà alla paranoia e all'impossibilità di vivere in pace. Con l'eccezione di Penelope e Telemaco, che compariranno solo nelle fasi finali del romanzo, ogni personaggio "secondario" ha il proprio simbolismo, ognuno agisce come uno scalpello, che modellerà Circe fino al raggiungimento della forma definitiva. Tutto l'impianto narrativo, lo ribadisco, è costruito con grande coerenza, maestria, stà insieme con impeccabile fluidità, con una singola eccezione. Questa eccezione che, a mio avviso, è la più grande pecca di Circe, è l'incontro con Medea e Giasone, su cui avevo aspettative enormi, e che però risulta essere un inciso quasi autoconclusivo, poco integrato con il resto dell'arco narrativo, quasi messò lì per guadagnare pagine.

Infine, l'idea dell'essere immortale che rinuncia per amore alla propria divinità, abbracciando l'autentica vita della mortalità, non è sicuramente nuova. La valchiria Brunnhilde nel Ring di Wagner ha un percorso decisamente simile, anche se con differenti dinamiche. Sempre restando in tema di raffronti operistici, La Canzone di Achille potrebbe essere una Grand Opera di Meyerbeer o Berlioz, piena di cori, arie d'impatto, balletto, marcia militare, duetto d'amore e scena della pazzia, Circe invece richiederebbe un approccio decisamente più simbolista e post-wagneriano, ma non riesco ad associarla in maniera altrettanto chiara: sarebbe stata perfetta per Debussy, forse, ma anche per Wolfgang Erich Korngold. Tornando coi piedi per terra, posso concludere affermando che si tratta di uno splendido traguardo per la sua autrice, e al tempo stesso di un punto d'arrivo. Le ultime notizie, infatti, vedono Madeline Miller al lavoro su un nuovo romanzo, basato stavolta su La Tempesta di Shakespeare; una nuova fase artistica, quindi, decisione saggia dopo prove di gran pregio come i suoi primi due lavori. Da parte mia, la curiosità e l'hype sono già molto alti.

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