MARS ONE. Non è una regola, ma molto spesso arriva un momento nella vita di una persona (può succedere anche più di una volta) in cui si cercano delle risposte a delle domande non meglio precisate su chi siamo, da dove veniamo e soprattutto dove stiamo andando. Parlo di questioni di natura identitaria e esistenzialista e che non devono per forza coincidere e corrispondere al verificarsi di eventi di natura traumatica.
A me è successo diverse volte. Mi è successo di attaccarmi a qualche cosa. Di cercare semplicemente di appassionarmi totalmente a qualche cosa. È una specie di conversione religiosa. Come se spostare il proprio interesse e credere e interessarsi costantemente in qualche cosa, potesse in qualche modo avere qualche significato anche per quello che riguarda la mia vita personale. Ma del resto non è questa sicuramente una stramberia. Basti pensare a quanta gente vive solo per il calcio. Perché lo fanno? Certo, il calcio è un gioco fantastico, io lo adoro, ma è evidente che per molte persone questa cosa acquista un significato particolare e che non ha neppure nulla a che fare con la passione sportiva.
In uno di questi momenti ho sviluppato un certo interesse per quello che riguarda la colonizzazione - potenziale - del pianeta rosso, cioè Marte, e poiché questo momento coincideva storicamente con quello che è stato il massimo momento di attenzioni dedicato dai media al progetto Mars One del ricercatore olandese Bas Lansdorp, ho avuto nel tempo modo di farmi una mia idea su questo progetto in particolare e poi su quelle che sarebbero le possibilità concrete allo stato attuale e potenziale di stabilire una colonia permanente su Marte.
Per la verità il tema nel suo complesso è stato rilanciato di recente. Le notizie arrivate dal pianeta rosso alla fine del 2015 e film come 'Gravity', 'Interstellar' e ovviamente 'The Martian' hanno provato a riaccendere un qualche entusiasmo per quello che riguarda l'esplorazione dello spazio e in particolare il raggiungimento della prossima frontiera, così come è stata stabilita da tempo, ovvero il raggiungimento del suolo marziano.
Ma concentriamoci in breve su quello che sarebbe il piano di Bas Lansdorp. Che francamente non trovo affatto attendibile come potrebbero esserlo invece i propositi di altre associazioni e organizzazioni corporative e/o private (in realtà ritengo che la cosa, se mai dovesse verificarsi, sarebbe proprio in tandem tra organizzazioni private e governative) e tra le quali non posso non citare la Space Exploration Technologies Corporation, o più semplicemente SpaceX, di Elon Musk, l'imprenditore nato a Pretoria e proprietario della Tesla Motors e cofondatore di PayPal e probabilmente quella che è considerata la mente più brillante in circolazione nel mondo imprenditoriale contemporaneo.
L'idea di Lansdorp è molto poco concreta e concretizzabile e il suo piano è aleatorio ed è stato criticato e giudicato negativamente da esperti (vedasi il report del MIT al riguardo) e appassionati e dediti storicamente alla causa come Buzz Aldrin. Al di là dei difetti di natura tecnica, di cui si può leggere ricercando le fonti citate, Mars One è più che un progetto scientifico vero e proprio, una specie di pubblicità. Una pubblicità di se stessa.
È curioso in effetti che Mars One si proponga di finanziare l'impresa (che prevederebbe lo stabilirsi di una colonia permanente su Marte a partire dal 2025) con un 'reality show', perché esso stesso è un reality show, nel quale basta iscriversi su Internet e partecipare a una specie di selezione per diventare uno degli astronauti e dei potenziali primi coloni di Marte. Non ci vuole molto ovviamente per guardare a tutto questo con un certo scetticismo e bollare di poca e nulla credibilità un piano di questo tipo. Lo stesso 'reality show', come potrebbe mai funzionare veramente e essere interessante sul lungo termine? Pensate infatti che sarebbe in qualche modo così interessante ventiquattro ore su ventiquattro la vita su di una colonia spaziale? Parliamo chiaramente di qualche cosa di utopistico.
UTOPIA. Qualche cosa di utopistico, anche perché personalmente, se sono convinto che l'uomo possa raggiungere il suolo marziano e che riuscirà sicuramente in questa impresa. Anzi, se penso che l'uomo potrebbe già compiere questa impresa se solo chi ne detiene i mezzi tecnici e finanziari adatti allo scopo, ci vedesse una qualche finalità di una certa importanza - che evidentemente, dispiace ammetterlo, non c'è - tale da investire le ingenti risorse necessarie.
Sono convinto, dicevo, di questa cosa: l'uomo camminerà su Marte. È qualche cosa che succederà in maniera inevitabile e lo stesso sviluppo per quello che riguarda l'esplorazione dello spazio e il volo spaziale, è destinato a incrementarsi sempre di più nel passare degli anni. Certo, apparentemente non abbiamo fatto molto negli ultimi anni. L'ultimo allunaggio risale alla missione Apollo 17 del dicembre 1972 e da allora sono passati praticamente più di quarant'anni. Eppure, se c'è stato un rallentamento nella ricerca scientifica (ammesso questo ci sia stato) è indubbio che questa sia comunque destinata a procedere e, salvo ipotesi catastrofiche da immaginario tipico della guerra fredda, a espandersi sempre di più nel tempo.
Al netto di tutto questo, tuttavia, non credo che l'uomo stabilirà mai - o almeno in tempi relativamente brevi - una qualche colonia permanente su Marte. Le complicazioni perché questo accada sono molteplici e scientificamente dimostrate e scientificamente provate anche quotidianamente con più simulazioni che avvengono sul nostro pianeta in laboratorio e in spazio aperto e da parte di organizzazioni governative e private e/o studi universitari e scientifici a vario titolo. Perché mai, del resto, dovremmo adoperarci per stabilire una colonia permanente su di un pianeta ostile? Quale persona vorrebbe mai vivere davvero in una colonia su Marte e in situazioni di vita estrema? E soprattutto, ammesso che qualcuno volesse davvero farlo, chi vorrebbe spendere miliardi e miliardi di dollari per permettere a queste persone di vivere questa loro esperienza che del resto risulterebbe essere infruttuosa e si concluderebbe molto probabilmente con l'esperienza di vita personale dei singoli soggetti che ne fanno parte.
Stabilire una colonia difatti è qualche cosa di più che organizzare una semplice spedizione. In questo senso, diciamolo, qualsiasi parallelo con la 'colonizzazione' del nuovo mondo non sta in piedi e non ha alcun senso. Le Americhe apparivano ai nuovi colonizzatori come un posto difficile dove ricominciare, ma anche come una opportunità. Vediamo allo stesso modo la possibilità di stabilire una colonia su Marte? No. Questo è evidente.
PLANETBASE. C'è comunque per ognuno la possibilità di sperimentarsi in un'impresa di questo tipo. La possibilità in questione, a portata di mano, anzi di monitor, è data da Planetbase, videogioco prodotto dalla Madruga Works, e nel quale lo scopo, come è a questo punto facilmente intuibile, consiste nello stabilire una colonia su un pianeta sconosciuto e disabitato. Un pianeta che non è necessariamente Marte, anche se il primo tra i quattro livelli di difficoltà (quattro pianeti per quattro livelli di difficoltà) gli somiglia effettivamente tantissimo. Diciamo che coinciderebbe nei fatti con Marte.
Chi è pratico con videogiochi di questo tipo, non avrà bisogno di molte chiacchiere e descrizioni per capire di che cosa stiamo parlando. Lo scopo del gioco è quello di costruire - da zero - una colonia su di un nuovo pianeta e facendo fronte di volta in volta alle diverse difficoltà, che sono chiaramente variabili di intensità con l'aumentare dei livelli di gioco.
Al principio, proprio come nei piani di colonizzazione cui si accennava prima, vi toccherà comandare una piccola squadra di astronauti e con l'ausilio eventualmente di dei droni, appena sbarcata sul pianeta da una capsula spaziale e con a disposizione una quantità limitata di risorse sia alimentari che di tipo ingegneristico e energetico e che vi toccherà gestire e ovviamente incrementare per garantire la sopravvivenza della vostra spedizione e anzi ampliare sia di dimensioni che per numero di abitanti quella che sarà la vostra colonia.
Definirei 'Planetbase' un classico buon videogioco di tipo strategico e gestionale e apprezzabile tra le altre cose per l'immediatezza nella comprensione del funzionamento delle diverse strutture che avrete modo di conquistare. Che non significa ovviamente allo stesso tempo che si tratti di un videogioco facile facile e neppure, come vedremo, alla lunga particolarmente rilassante. Come potrebbe essere altrimenti. Alle difficoltà tipiche del genere infatti questa volta bisogna aggiungere quelle che sono situazioni emergenziali e borderline date anche le numerose urgenze che si susseguono con una rapidità incredibile e difficilmente gestibile nello svolgimento della vostra mansione di 'master' di una colonia spaziale.
Da questo punto di vista, del resto, direi che il gioco è ben fatto e che non potrà che piacere agli appassionati del genere (mi riferisco sia a quelli appassionati ai videogiochi di natura gestionale che a chi ama invece le ambientazioni fantascientifiche). Non lo accosterei se non per le ambientazioni a un superclassico del genere come 'Starcraft': qui su 'Planetbase' non ci sono alieni con cui combattere. Ci sei solo tu, l'uomo, che deve affrontare un ambiente ostile e dove non cresce la vita e dove anzi l'unica vita, da salvare, è la tua.
DIFFICOLTÀ REALI. Nonostante la semplicità apparente e già richiamata del gioco, comunque molto lineare anche nella sua grafica che si mantiene su un livello buono ma non eccelso proprio per non complicare ulteriormente le cose, 'Planetbase' piacerà probabilmente anche ai videogiocatori più esperti e quelli alla ricerca di sempre più nuove e complicate sfide da superare nei diversi livelli di gioco. Tanto che io stesso, considerandomi un videogiocatore 'medio', devo ammettere alla fine di essere provvisoriamente ritirato dalla 'tenzone' dopo aver visto innumerevoli dei miei coloni spaziali morti per assiderazioni oppure denutrizione.
È incredibile, credetemi, come possa essere stressante e difficile gestire una colonia spaziale, anche se si tratta solo di una semplice simulazione. Ma da questo punto di vista, lo devo riconoscere, sono uno di quei soggetti che facilmente riesce a trovare stressante i videogiochi. Questo succede probabilmente anche a causa di una mia preferenza personale per videogiochi di natura strategica/gestionale. Faccio un esempio: non giocherò mai più a Championship Manager, che considero, volendone sfruttare tutte le infinite opzioni e interfaccia, praticamente più impegnativo che svolgere nella pratica la vera attività quotidiana di allenatore sul campo. Solo senza avere nessuna renumerazione per i propri sforzi, né la soddisfazione di apparire in tv o almeno di stare su di un campo da calcio assieme a qualche più o meno grande campione.
Mi ricollego a questo punto per forza a quello che dicevo al principio, anche perché in effetti mi rendo conto di rifugiarmi nel mondo dei videogiochi in quelli che sono i miei momenti peggiori e in cui sono, sarei già sotto stress. Questo mi dà l'opportunità per una riflessione più ampia su me stesso e che magari può aprire una discussione sui videogiochi in generale, ma anche su qualsiasi cosa che può costituire come dicevo all'inizio, apparentemente, una risposta, mentre invece si può rivelare poi una specie di ossessione. Come voler mettere una ossessione su di un'altra ossessione. Le conseguenze di un meccanismo di questo tipo non possono che essere negative eppure questo, io non ne faccio eccezione, sembra proprio essere qualche cosa che la nostra natura sia portata a compiere comunque in maniera irrazionale. Come se dentro di noi ci fosse allo stesso tempo una voglia di sapere e di conoscere, sicuramente positiva, come una forza invece negativa e quasi autodistruttiva che sarebbe pronta a negare la prima e che anzi forse ne è innanzitutto spaventata.
Il fatto è: che cosa dovrebbe spingere un qualsiasi essere senziente a darsi da fare per mettere in piedi una colonia su di un pianeta disabitato? Si tratta di qualche cosa di incredibilmente difficile e stressante e che difficilmente vi porterà una qualche soddisfazione di qualche tipo. Che mai e poi mai vi darà in cambio una qualche ricompensa tangibile. Nessuno vi sarà mai riconoscente per questo e voi sentirete su voi stessi solo lo stress e la fatica. Ma qualche cosa, qualche forza interiore dentro di voi, e che non deve essere per forza energia positiva, vi spingerà comunque ad andare avanti e cercare di portare a termine quella che in qualche modo vorrete per forza considerare un'impresa. Stiamo parlando solo di un videogioco in fondo, vero?
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