"Grit" è un monumento alla rabbia imprigionata, violento, urtante.
"Grit" è il terzo album dei Madrugada, terzo capolavoro consecutivo del gruppo di Sivert Hoyem, e sta li, impietoso e struggente, a dimostrarci che Oslo non è poi così lontana da New York.

È un album profondamente diverso dai predecessori, "Grit": chi vi si accosta per la prima volta stenta a riconoscerne la stessa provenienza. Ove i primi due erano assoluti monumenti al barocco dell’anima, discese agli inferi come un Nick Cave naufrago in un oceano in tempesta, chitarre appena arpeggiate, voce cavernicola e sensuale, liriche struggenti su amori e inganni, bassi a spasso per catacombe e danze blacksabbatiane attorno a un falò di anime dannate (ah la donna tenera, fragile ed erotica sulla cover di "Nightly desease", mai così giusta raffigurazione della musica che v’è contenuta), qui le chitarre si fanno aggressive, ossessive e solo di rado uno spiraglio di pace si rileva tra i solchi.

Non ce la sentiamo di dire se quest’album sia o meno un passo avanti: i Madrugada hanno deciso, alla prova del tre, di sterzare e il risultato non delude.
A partire dall’iniziale "Blood shot Adult commitment", l’album è un concentrato di hit devastanti che tuttavia conservano un fascino malato tutto proprio. Su tutte, ve n’è una, che prende il nome della band, traccia numero 4, Jim Morrison è resuscitato e ci sta cantando del paradiso e dell’inferno.

Abbandonato il fortunato sodalizio con John Agnello, stavolta produce Frode Jacobsen, e la differenza, nel bene e nel male, si sente. Aspettiamo dunque con fiducia il prossimo passo, ansiosi di conoscere verso quali lidi ancora la band sarà capace di approdare. In ogni caso, possono scommetterci, li seguiremo con attenzione.

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