"Silenzio Industriale". Gli ossimori hanno da sempre avuto un certo fascino sulla mia labile mente. Forse anche questo è stato uno dei motivi che mi hanno spinto all'ascolto del primo album dei Madrugada.

Probabilmente però, è la voce di Sivert Høyem ad aver fatto fatto il resto: di color blu cobalto, soffice e profonda, avvolgente come una pesante coperta di lana in una serata di pioggia autunnale. I paragoni si possono sprecare: Nick Cave?, Jeff Buckely?, Jim Morrison?, Michael Stipe?, Leonard Cohen?. A guardar-ascoltar con dedita attenzione, nella voce dello spettinato norvegese c'è un po di tutto questo, a piccole-grandi dosi a seconda dell'incedere delle canzoni.

I Madrugada sono una one-man band, sono fondamentalmente Høyem, sono plasmati sulle sue tonalità e sulla sua figura esile e contorta, e "Industrial Silence" ne è un'esempio lampante.Canzoni come "Vocal" o "Strange Color Blue" sono dipinte ad acquerello dalle corde vocali del ragazzo del nord su una tela musicale raffinata e curata ma certamente non brillante per originalità. Il resto scorre via ineccepibile, emozionante, mai prolisso, mai banale nonostante sua dimensione derivativa. È uno di quegli album che scivola via tutto d'un fiato, è come un ruzzolone nella neve. Insomma, una di quelle cose che, appena finite, già ti vien voglia di rifare o, in questo caso di riascoltare. La cupezza presente nel titolo si ripercuote un po' su tutto l'album.

Le note sono cadenzate, melodiche, elettriche ma mai cattive o graffianti, talvolta ovattate con un basso in primo piano, altre volte più acide con chitarre suonate quasi rusticamente a farla da padrone. Altrettanto si può dire degli arrangiamenti, curati in maniera maniacale dallo stesso Høyem, sempre perfetti, talvolta anche troppo. I minuti di musica si susseguono tra splendide ballate (Electric, This old house, Quite emotional) fino ad arrivare allo pseudo-jazz di "Terraplane" che funge da perfetta chiusa ad un album che rimane a tutt'oggi una delle più belle tappe della musica pop-rock europea (e non solo) di fine anni 90. Una sorta di "Monster" (l'album dei R.E.M.) del Vecchio continente. Non a caso i Madrugada hanno ricevuto la benedizione di Stipe il quale è stato stregato dalla tonalità baritonali del cantante norvegese e dalla dolcezza mai melensa delle melodie.

Non è una pietra miliare ma, nel suo genere, è un album nel quale i Madrugada hanno toccato livelli eccelsi; livelli che in futuro sfioreranno solamente con "The Deep End".

Carico i commenti...  con calma