E’ una di quelle giornate che sembrano non finire mai. La pioggia martella incessante il parabrezza e i tergicristalli urtano i miei sensi con il loro monotono e snervante ondeggiare. Gli ultimi gemiti del giorno se ne sono andati da un pezzo ed io, chiuso come una sardina tra queste quattro lamiere, cerco il solito ed unico modo per vincere l’insofferenza del guidare. Non sono più abituato a farlo per molte ore (guidare, e che stavate a pensare??). O forse non mi ci sono mai abituato.
Pesco nell’oscuro fondo del vano portaoggetti e ne estraggo un cd che ha più graffi di Max Mosley nel bel mezzo dei suoi perversi giochi erotici. Mentre riporto la macchina nella corsia di competenza, butto un’occhio al titolo prima di inserire l’oggetto nel lettore. Madrugada. Speriamo di non dover attendere davvero l’alba prima di rientrare al mio confortevole nido.
E’ passato un po’ di tempo dall’ultimo ascolto (voce fuori campo: e grazie al cazzo, non sarebbe finito in fondo alla pila sennò!), ma ricordo che era dai bei tempi del silenzio industriale che il combo norvegese non mi strappava certe sensazioni. Ispirazione ritrovata? O forse è la malinconia brumosa e strisciante che attraversa questo disco? La verità è che sono sempre rimasto affascinato da quel loro suono cantinaro e decadente, dai legnosi riverberi, dalla solita manciata di acidi accordi sottomessa al timbro possente e profondo di Sivert Høyem. E’ l’anima redenta di Nick Cave a braccetto con lo spettro di Ian Curtis. E certamente non è la musica più adatta per un viaggio in piena notte in mezzo al diluvio. Perchè si diffonde maligna nell’etere e s’insinua nella tua testa come una sostanza psicotropa. Ti cattura.
Adesso anche quel rumore in sottofondo dei tergi sembra tenere il ritmo. Dinanzi a me orizzonti incerti e l’intermittenza di luci che appaiono e scompaiono in un tempo indefinito. Lo specchietto retrovisore allontana figure indistinte, mentre le note scivolano via tra inquiete ballate dal gusto retrò e oscure danze tribali sporcate di blues.
Sono le ultime per Robert Burås, che lascia questo strano mondo abbracciato alla sua chitarra.
Fine del viaggio. Look away Lucifer.
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