Nel booklet, fra disegni di colonne, pittogrammi kobaïani e il logo della band leggiamo: “The music of Magma is like a mirror, where everyone can see a reflection of who he is”.
La musica contenuta all’ interno del disco di certo non smentisce tale affermazione: si sente un urlo e poi il delirio di strumenti che fanno un gran casotto, per il primo minuto ammezzo, ed ecco che partono i vocalizzi di Köhntark (part one). Poi i coretti che si ripetono ossessivamente fra i fraseggi di violino, suonato dal mostruoso e grandissimo Didier Lockwood, e la chitarra di Gabriel Federow intesse una magica trama insieme alle tastiere di Jean-Pol Asseline, che chiude la prima metà. Ma su tutti in assoluto, spicca lui, Christian Vander, il batterista, il leader, il genio. Colui il quale si inventa una lingua di sana pianta con tanto di grammatica e sintassi, a metà fra il dialetto bergamasco e una qualche lingua barbarica del Nord Europa, avendo forse capito che il francese non è forse la lingua ideale per cantare, e che l’inglese sarebbe una lingua troppo conformista per lo stile bizzarro, originalissimo ed unico dei Magma.
"Hhaï" è la grande celebrazione dal vivo dei Magma, che hanno sfornato un album più strambo e bellissimo dell’altro. Siamo nel 1975 e fra l’1 e il 5 di giugno viene registrato a Parigi questo importante manifesto dello Zeuhl (celestiale, in Kobaiano), il genere di prog creato da Vander. "Köhntark (part two)" riparte con la tastiera quasi in punta di piedi e poi Bernard Pagnotti, con il suo basso, salta subito in evidenza per complesse linee melodiche del suo strumento, soprattutto quando accelera il pezzo, in cui si sentono influenze molto jazz. Si fanno risentire i due vocalist, Stella Vander e Klaus Blasquiz, con l’intreccio di parti corali, dando inizio ad "Ëmëhntëht-rê", in cui sezione la ritmica della band è protagonista, dando origine a ritmi ipnotici e ripetitivi.
Il secondo disco (Zünd 2, in Kobaïano), parte con la title-track, "Hhaï", a metà fra il cantato e la recitazione, con una voce da opera e con il solito piano elettrico, per sfociare nel free jazz / prog della chitarra e del violino, e per la prima volta all’interno del disco sentiamo il pubblico che applaude. Questo disco è stato infatti registrato talmente bene da non sembrare neanche un live e il pubblico è talmente assorto e concentrato nel difficile ascolto dei brani da rimanere in silenzio per quasi tutta la durata del concerto. Poi è la volta di "Kobah", definito l’inno dei Magma durante la presentazione, suonata come la versione in studio, fantastica. "Lïhns" è un bel pezzo lento, con i soliti strani cori. "Da Zeuhl Ŵ ortz Mekanïk" è il pezzo che a mio giudizio è più riuscito dal vivo perché la batteria di Vander fa i soliti miracoli e la parte melodica è molto apprezzabile. Chiude questo colossale monumento dal vivo un’altra lunga suite: "mëkanї k zaї n", con i suoi 19 minuti e rotti, in cui il genio e l’estro della band francese viene brutalmente esaltato. Toni drammatici, atmosfere profonde e talvolta inquietanti, lasciano allibiti. E poi la velocità del pezzo è travolgente ed entusiasmante.
Finito di ascoltare il Zünd 2 infatti, si è sfiniti, eppure soddisfatti di aver comprato questo sublime disco. Altri artisti hanno cercato poi di fare Zeuhl, come gli Zao e i Dün, ma nessuno equaglierà i grandissimi Magma. Perché loro hanno inventato un genere, loro hanno reso grande la Francia nel mondo del progressive rock dandole almeno un piccolo spazio, loro hanno suonato così bene dal vivo, quelle magiche notti a Parigi nel 1975. E anche se del cantato non si capisce una minchia frusta, "Hhaї" è una più che degna testimonianza dell’incandescente colata di Magma che ti investe quando lo ascolti.
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