È la prima recensione che scrivo, non so perchè sia proprio di quest'album, anzi lo so, perchè oggi l'ho sentito e mi ha entusiasmato. Non è il mio album preferito, ma l'ho scelto anche perchè non è recensito su questo sito e non molto in generale in rete. Questa recensione richiederà molto impegno, in quanto di un disco molto complesso, non facilmente recensibile.

Si tratta dell'omonimo doppio disco dei Magma (album d'esordio), esponenti del rock progressivo, del movimento nato alla fine dei '60 e che nella prima metà dei '70 ha raggiunto il suo massimo splendore. Sappiamo che questo genere si è manifestato con contaminazioni di generi diversi, diverse tendenze e gruppi diversi tra loro. I Magma sono l'esempio di gruppo prog che contamina free jazz (riprende un po' Coltrane, idolo di Christian Vander, il batterista), classica contemporanea e rock. La loro musica è sconvolgente, allo stesso tempo schizoide (vedi le urla del cantante come del sassofono, bruschi stacchi di batteria, chitarra impazzita con effetto wha-wha, secondi finali delle canzoni scoppiettanti) e macabra (melodie angonscianti, che mettono quasi paura, graffianti, demoniache). In tutto il disco dei musicisti francesi si susseguono sbalzi di tono e di umore e dissonanze.

I testi delle canzoni sono in kobaiano (già se n'è parlato in un'altra recensione dei Magma su debaser), lingua del pianeta "Kobaia", di cui vengono narrate le vicende fantascientifiche. È una lingua artificiale creata dalla fantasia incredibile di Vander, è curioso sentir cantare in questo strano linguaggio. Sembra di ascoltare un rito di una setta (questo ancor di più nei loro dischi successivi) a tratti. C'è tutto questo nel disco e ciò non può non essere che sconvolgente. Il disco è un autentico capolavoro a mio parere, anche se, non è considerato tale dalla critica. Esso si apre con la grandissima "Kobaia", dove subito regnano i sbalzi d'umore, con una partenza pungente e un seguito con momenti di stasi e che si apre poi al free-jazz. La successiva "Aina", al contrario, parte lenta, in pefetto stile jazz-rock e poi si velocizza ed esplode nel finale. Segue la bellissima "Malaria", dove piano, chitarra e batteria formano una melodia ipnotica, a cui poi si unisce il flauto traverso e che prosegue con i soliti sbalzi d'umore e variazioni con batteria e chitarra con wha-wha che impazziscono e intonano una sorta di cantilena. E poi il pezzo più bello dell'album, "Sohia", che inizia e finisce allo stesso modo, con un grandissimo duetto di basso e flauto traverso, che danno vita ad una angosciosa melodia, seguita da notevoli momenti di tensione.

Il disco prosegue con lo schema complesso simile alle canzoni precedenti. Da sottolineare bei momenti lirici nella folle "aurae", in "Thaud Zaia" e "Nau Ektila", ma che riservano comunque ribaltamenti in acide esplosioni ed evasioni nel free-jazz. "Stoha", è il pezzo più schizoide, che, nei primi minuti, un monologo fatto di urla e strepitii, rende un po' prolisso. Il brano che conclude l'opera è "Muh", che sembra segnalare il ritorno alla quiete dopo l'angoscioso e terrificante viaggio di questo disco.

Carico i commenti...  con calma