Quindicesimo album in studio (incluso l'ottimo album acustico "Keeping The Nite Light Burning") per il quintetto di Birmingham capitanato dell'ex barbuto ed ex cappelluto (ma sempre grandissimo) Tony Clarkin, da oltre trent'anni mente e cuore di questo monumento del rock melodico.

Uscito il 15 Giugno 2009 "Into The Valley Of The Moonking" ci restituisce una band in gran forma dopo il precedente (e a mio avviso non certo entusiasmante) "Princess Alice And The Broken Arrow", segnalandosi come il loro miglior lavoro degli ultimi anni.

L'album, presentato ancora una volta da una splendida copertina di Rodney Matthews, farà la gioia di ogni rocker "borchiato ma con sentimento" con una proposta sicuramente più lineare che in passato, puntando più sull'emozionalità e su melodie ariose che sugli stupefacenti barocchismi degli esordi.

Una breve intro tastieristica, tanto semplice quanto ispirata, fà da preludio a "Cry To Yourself" mid-tempo malinconico ma energico dove i nostri sembrano riprendere certe sonorità dall'ottimo "Brave New Morning" del 2004. Subito i cinque rockers si fanno riconoscere per la grande varietà della loro proposta, ed ecco che si alternano veloci la solare "All My Bridges" (acclamatissima dal vivo) e l'hard rock raffinato di "Take Me To The Edge", fino alla quasi title track "The Moonking", blues epico che cita nemmeno troppo velatamente i gloriosi Rainbow con Dio (un riferimento non nuovo ai nostri).

Già fra i classici della band "A Face In The Crowd" che rientra a pieno titolo fra le loro migliori ballad di sempre, assieme alla storica "The Last Dance" o alla sfortunata "The Word" da quel gioiello che fu "The Eleventh Hour". Il brano, guidato dal pianoforte di un bravissimo Mark Stanway e cantato con incredibile trasporto da un immortale Bob Catley, non potrà non emozionare anche il fan più esigente*. Precisa ma un po' in secondo piano la performance del bassista Al Barrow (già negli Hard Rain) e dell'ex Terraplane e Thunder Harry James alla batteria (difficile, per quest'ultimo, superare Mickey Barker o il compianto Kex Gorin, prematuramente scomparso nel 2007).

In chiusura stupiscono i (purtroppo) poco più di tre minuti di "Feels Like Treason", brano che recupera un certo dinamismo come in passato (e su cui mi piacerebbe che i nostri puntassero in futuro) e la particolarissima "Blood On Your Barbed Wire Thorns" dove un incedere graffiante alla AC/DC lascia il posto ad inaspettato finale melodico in cui le magiche note di slide di Tony Clarkin ci regalano un autentico momento d'estasi.

Con una produzione moderna ma rispettosa di quel sound classico tanto caro agli appassionati di rock melodico, l'album riporta l'unicorno inglese alla guida di un genere, l'AOR, che dopo anni di oblio sembra stia lentamente tornando all'attenzione del pubblico.

Lunga vita ai Magnum!



*Il fan esigente e i più attenti di voi noteranno anche una somiglianza con un'altra ballad dei Magnum: parlo di "Back In Your Arms Again" dal poco noto "Rock Art" del '94, riuscendo però, a parere di chi scrive, laddove quest'ultima aveva in qualche modo fallito.

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