Dopo oltre trent'anni di gloriosa carriera (se non dal punto di vista strettamente commerciale, sicuramente da quello musicale) i Magnum hanno ormai dimostrato di essere uno dei migliori gruppi quando si parla di rock melodico nell'accezione piu ampia del termine. La loro storia passa infatti attraverso diverse fasi e tocca vari generi e sottogeneri tra cui Hard Rock, Pomp, AOR, sfiorando addirittura Prog, Folk e tracce di Heavy Metal (quello delle origini, tanto che, forse più per motivi geografici e temporali, vengono a volte inclusi nel calderone della N.W.O.B.H.M.). Ogni album ha rappresentato quindi, mai come in questo caso, un importante tassello nell'evoluzione artistica della band.
Dopo questa breve introduzione, necessaria poichè si parla di un gruppo poco noto ai più, mi accingo a recensire il loro quarto disco in studio "The Eleventh Hour". La frase suona un po' come "all'ultimo minuto" quasi a sottolineare il periodo di crisi che attraversavano a causa del fatto che la Jet Records tagliò loro i fondi e furono quindi costretti ad autoprodursi.
Siamo nel 1983 e l'album seguiva quello che è da molti considerato il loro capolavoro, almeno per ciò che riguarda la loro prima fase (quella pomp/prog), parlo di "Chase The Dragon" del 1982, e precede di qualche anno un altro capolavoro, ovvero "On A Storyteller's Night" che li avvicinerà a sonorità più AOR. Il classico disco di transizione quindi, ma la qualità del materiale proposto è comunque alta, tanto che i nostri riproporranno in versione acustica ben due canzoni nello splendido "Keeping The Nite Light Burning" del 1993.
Il disco si apre con la bellissima "The Prize": una meravigliosa intro acustica dalle tinte folk del barbuto chitarrista Tony Clarkin (tutti i brani portano la sua firma) fà da preludio all'evocativa voce di Bob Catley, mai così nitida. Quando uno stacco di batteria dà inizio al brano vero e proprio sembra che la navicella spaziale sul retro del disco prenda il volo... A mio parere una delle piu belle canzoni dei Magnum.
Segue "Breakdown" sofferta e malinconica, una sorta di blues sinfonico se mi passate la definizione, con un Bob Catley sugli scudi autore della "solita" interpretazione da brivido.
"The Great Disaster" continua dinamica e veloce, curatissima negli arrangiamenti. Il brano è preceduto da una intro dove Tony Clarkin pare ispirarsi a Brian May nella stratificazione di chitarre armonizzate.
Nella pomposissima "Vicious Companions" tornano le influenze folk, dove Catley, credibile menestrello, è perfettamente a suo agio. "So Far Away" è uno dei momenti migliori del disco, variegata, dinamica, pomposa... insomma tutto ciò che ci si aspetta dai Magnum! E si arriva così a "Hit And Run", pezzo più commerciale e "semplice". Più vicina al classico Hard Rock in parte mi ricorda i Foreigner.
E' il momento di un altro picco del disco, ovvero "One Night Of Passion", dove gli accordi del bravo tastierista Mark Stanway creano un'atmosfera vagamente Jazz... L'urlo sofferto di Catley a metà canzone è da manuale e ricorda un po' quello contenuto in "The Teacher" (da "Chase The Dragon") ma in un contesto più soft.
"The Word" è invece una classica ballad. Sorretta dal piano di Stanway è forse un po' troppo stucchevole e prevedibile. Brano gradevole ma niente più. "Young And Precious Souls" e "Road To Paradise" chiudono degnamente un album ricco di ottima musica e magistralmente suonato (ricordiamo anche la sezione ritmica composta da Wally Lowe al basso e Kex Gorin alla batteria, qui alla sua ultima prova prima di lasciare il posto dietro le pelli a Jim Simpson). Un album a volte poco considerato forse perchè all'interno di una discografia così ricca di capolavori, ma comunque degno di essere almeno ascoltato. Non ve ne pentirete.
Menzione a parte per la splendida copertina opera di Rodney Matthews, grande artista fantasy che ha prestato (si fà per dire...) il suo talento anche ad altri gruppi Hard n' Heavy quali Nazareth, Tygers Of Pan Tang e Praying Mantis.
Carico i commenti... con calma