"Perché ho fatto Tex? Perché era una buona bandiera sotto cui cadere. E dovendo cadere, tanto valeva cadere ad Alamo." Magnus
Lo ammetto: Ho sempre odiato Tex.
Giuro. Fin da piccolo mi è sempre stato sul culo questa sua aria da eroe figaccione, che sfugge sempre a mille pallottole, con la battuta idiota sempre pronta (e fuori luogo) e con quest’aria da “bello e impossibile” davvero odiosa, circondato da un Clan di figli, padrini e indiani poco raccomandabili e altrettanto odiosi.
Preferivo Zagor o Mister No, dalle storie più umane e meno prevedibili. Per non parlare di Ken Parker, 10 anni luce più avanti, più simpatico e originale (Sempre sia lodata la genialità di Berardi e Milazzo!!).
Tex invece era la Tradizione, l’avventura stereotipata, ingessata, prevedibile e alla fine noiosetta.
Era l’incarnazione dell’eroe borghese ante litteram, amato dai democristiani conservatori e dai camionisti di cultura elementare, che riuscivano a leggere a malapena le scritte sui baloon e che non amavano le trame troppo complesse.
Un Tex che era già vecchio nei primi anni 70, sempre uguale a se stesso e privo della pur minima inventiva sia nel disegno che nelle storie.
Ma poi un bel giorno del 1996, nella grigia esistenza di questo personaggio, arriva finalmente “La Valle del Terrore” tra gli Album Giganti della Bonelli disegnata dal grande Magnus e improvvisamente Tex diventa tutta un’altra storia.
• Una lavorazione ciclopica (durata 7 anni tra alti e bassi).
• Una meticolosità di disegno e di inchiostrazione al limite del paranoico/ossessivo (Magnus si isolò dal mondo, in una tenuta in campagna a Castel del Rio per mesi e mesi, dedicandosi giorno e notte alla sua creatura).
• Una ricostruzione maniacale dell’intera planimetria (dislocazione dei locali comprese) del fortino dove si ambienterà ¾ della storia, delle armi, delle uniformi e dei singoli dettagli.
• Cura estrema di ogni singola inquadratura con bozzeti fotografici aggiunti per l’inchiostrazione delle luci e ombre.
• Ossessione per i cavalli con centinaia di bozzeti a più riprese e prospettive per scegliere quella migliore (aiutato nell’impresa dal bravo Romanini).
Questo e altro ancora rendono questo album una perla rara di meticolosità e magnificenza, sdoganando il fumetto più famoso italiano dalla cultura nazional-popolare che lo aveva visto nascere a quella di Fumetto Cult impedibile per gli amanti del genere.
Un album da godersi con gli occhi (guardatevi questa due tavole: 1 2 ) per quello che da tutti viene considerato il testamento artistico di un autore che ci ha regalato capolavori di raffinatezza e genio quali Alan Ford, Kriminal, Satanik, Lo Straniero e la Compagnia della Forca - ma capisco che i più giovani utenti di questo sito conoscano poco o nulla di quello di cui sto parlando :-( .
E comunque, tornando a me, finita questa breve parentesi di 224 pagine illuminate, sono tornato a ODIARE Tex più di prima. Nemmeno la breve fiacola dell’Arte Fumettistica più ispirata è riuscita a scalfire la bieca tradizione ammuffita di un personaggio per me morto da sempre. Per gli stessi motivi che citavo all’inizio e benché siano passati più di 50 anni.
Ma tanto ormai lo so: Tex lo odierò fino alla fine dei miei giorni.
Questo è poco ma sicuro.
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