Suonare per Miles Davis e in un disco come "Bitches Brew" può causare effetti addirittura "apocalittici" sulla tua visione della musica. Ed ecco qui il giovane John McLaughlin separatosi da Davis, formare insieme al grandissimo e caricatissimo Billy Cobham quello che è forse il gruppo principale della fusion anni '70, ovvero la Mahavishnu Orchestra. Questo gruppo di altissima elevatura e dall'immenso bagaglio tecnico, possedeva nelle file tra i migliori musicisti della scena jazz elettrica di quel tempo; e abbiamo oltre ai già citati McLaughlin alla chitarra e Cobham alla batteria: Jan Hammer alle tastiere all'epoca neo-laureato al Berklee College of Music, il violinista di estrazione classica Jerry Goodman figura molto importante nel gruppo poiché responsabile delle deliziosissime incursioni in territorio classico insieme a McLaughlin, e Rick Laird al basso che in seguito suonerà con il grande Chick Corea.
Il disco in questione è "Birds Of Fire" il loro secondo lavoro e a mio avviso il più intenso e sofisticato della loro breve ma pur grande carriera. Il sound di questo album dalla produzione eccellente, sembra non invecchiare mai, questo per dirci che all'epoca un disco del genere era veramente una rivoluzione. I bellissimi unisoni di chitarra e violino costruiti su scale mai suonate prima, e arricchiti da una tellurica sezione ritmica e dal muro sonoro delle tastiere, contribuiscono a creare un'atmosfera frizzante, di grandissima tensione sia musicale che emotiva. Le influenze di Davis negli arrangiamenti di McLaughin si fanno sentire ma non per questo si sprofonda nella ripetitività e nelle citazioni inutili, anzi, McLaughlin da la prova della sua maturazione artistica e ci dimostra che non è più dipendente dal grande Miles. Ma mi getto a capofitto nella descrizione dei brani a volte tanto complicati e ricchi da sembrare "una costruzione di una cattedrale barocca".
La prima traccia omonima all'album apre il disco con dei potenti ma inquietanti colpi di gong, che vengono continuamente suonati fino all'entrata di tutti gli strumenti, che potentemente preparano il suolo ai particolarissimi e insoliti riff del violino e della chitarra.
Dopo la furia del primo pezzo a volte con cadenze quasi improvvisate, entra la seconda traccia "Miles Beyond". Un saltellante e vivace organo blues apre con moderazione il pezzo, dal ritmo prevalentemente lento e trascinante ma mai scontato e ballabile. Si nota anche come Cobham non voglia giocare sulla semplicità, ma vuole rimbambire l'ascoltatore con continui drum fill dal tocco progressive e complicatissime diteggiature.
"Celestial Terrestrial Commuters" sembra quasi un viaggio nell'universo e il suono di tastiera spaziale e futuristico regna in tutto il brano; tutta la band si muove in territori fino ad allora inesplorati e difficilmente concepibili per un orecchio poco allenato.
"Thousand Island Park" mostra le influenze classiche del gruppo, iniziando con delicatissime battute di chitarra classica e continuando con altri vorticosi giri dal sapore flamenco e latino, tipico dello stile chitarristico di McLaughlin (interessantissimo l'album in cui suona con Paco De Lucia e Al Di Meola... a dir poco impressionante). Il gruppo supporta la chitarra classica con altrettanti virtuosismi che non storpiano il significato del brano.
La breve "Hope" contiene affascinanti e morbidissimi fraseggi violinistici che con le potenti sincope della batteria danno un senso di grande movimento e spazialità.
La rullata velocissima di Cobham inizia "One World", brano dal ritmo coinvolgente e continuo, e dagli infiniti soli di chitarra, violino e tastiera che con un climax raggiungono una simbiosi musicale e un intreccio inaudito. In questo brano si ha la sensazione che le frasi musicali si rincorrano fra loro (la follia umana).
Dopo le sognanti e più pacate "Sanctuary" e "Open Country Joy", si arriva con un po' di tristezza all'ultima traccia "Resolution". Il brano è un continuo crescendo, in cui si sintetizzano tutte le emozioni del disco pur essendo relativamente semplice nella struttura ma scioccante nei contenuti.
La tecnica virtuosa, utile, fresca e mai scontata unita a un feeling ed a un approccio rivoluzionario, rendono l'atmosfera quasi esplosiva. Chi vuole trovare un significato descrittivo in questo album fallirà nell'impresa poiché la musica della Mahavishu Orchestra essendo musica colta "non descrive, ma sottolinea". Veramente un peccato per questa grande e folle band essersi sciolta dopo poco tempo, ma sicuramente lasciando dei lavori che entrano di dovere nel firmamento musicale jazz, ma quello più colto, studiato, interessante e folgorante.
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