Fra i guitar Heroes degli anni '70 si sprecano riferimenti a divi del rock, dell'hard rock e del prog rock (Page, Beck, Fripp, Blackmore, Howe, West, Allmann: qui citati in ordine sparso e con qualche dimenticanza) ma si dimentica, un po' troppo spesso, l'importanza dello scozzese John McLoughlin, già collaboratore di Alexis Korner, Miles Davis e Jimi Hendrix ed autore, in proprio e quale leader della Mahavisnu Orchestra, di alcune delle più significative pagine della musica contemporanea, in perfetto equilibrio fra jazz/fusion, hard rock e tradizione indiana.

L'apice della carriera di McLoughlin è forse caratterizzato dalla creazione delle suddetta Orchestra, supergruppo che univa alcuni fra i più validi talenti dell'epoca, autentici virtuosi del proprio strumento provenienti dalle parti più disparate del mondo: al basso l'irlandese Rick Laird, alle tastiere il ceco Ian Hammer, al violino lo statunitense Jerry Goodman ed alla batteria il panamense Billy Cobham.

La musica proposta dal gruppo in questo primo, ed a mio avviso, più convincente lavoro, è un'efficace fusione fra le varie anime del quintetto, che si sviluppa in direttive sempre ben delineate: i pezzi sono, infatti, un flusso continuo di accordi di chitarra (dal suono particolarmente aperto e "vorticoso": si dice che McLoughlin si ispirasse ai suonatori di sitar), sovente doppiati e contrappuntati dagli interventi del violino, che conferisce una crescente tensione sonora alle singole tracce, con un ruolo assimilabile a quello della chitarra solista in un normale gruppo rock; accanto ad essi svetta una tonitruante batteria, vera ossatura ritmica dei singoli pezzi, col compito di rendere più aggressivo e meno etereo il suono della band, accompagnata da un basso meno appariscente che in altri gruppi coevi ma efficace nelle sue trame ritmiche. Particolare il ruolo delle tastiere, che talvolta si limitano ad accompagnare gli altri strumenti nelle loro escursioni sonore, rimanendo secondo piano, assurgendo alla ribalta in alcuni brani più meditati, con un approccio di ascendenza jazzistica ed improvvisativa, in cui è più importante la qualità del singolo suono - e l'emozione che esso crea nell'ascoltatore - più che un virtuosismo fine a sé stesso. Quanto considerato consente di mettere in luce quello che è stato probabilmente il maggior pregio del gruppo di McLoughlin, almeno al suo esordio: la presenza di tanti musicisti di vaglia non impedisce al gruppo di avere un suono compatto e coeso, con una relativa limitazione di quegli interventi solistici tanto cari al jazz da cui proveniva gran parte dei membri dell'Orchestra, pervenendo a soluzioni di estrema compattezza sia sul piano melodico che sul piano degli arrangiamenti.

Un ponte ideale fra le varie culture musicali dei primi anni '70, che fatica ad essere inquadrato in una singola etichetta, come pure in un singolo reparto di un negozio di dischi, e proprio per questo rappresenta una gemma da riscoprire, specie da parte dei più giovani.

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