“Visions of the Emerald Beyond” è il secondo disco prodotto dalla nuova formazione della Mahavishnu Orchestra, ovvero John “Mahavishnu” McLaughlin (chitarra), Jean-Luc Ponty (violino), Gayle Moran (tastiere), Ralphe Armstrong (basso), Narada Michael Walden (batteria).
Registrato negli Electric Lady Studios di Hendrix e pubblicato nel 1974, consta di tredici tracce tutte strumentali, a parte le poche frasi pronunciate in tre brani principalmente da Gayle Moran. McLaughlin era evidentemente ancora incerto sulla forma e la struttura da affidare alla sua mutevole e multiforme creatura musicale; optò per seguire quella funk-fusion che imperversava nella prima metà dei settanta nel jazz, i cui estremi furono incarnati da personaggi come Herbie Hancock e i Weather Report. Il nucleo del disco è quindi contraddistinto dalla presenza di un lotto di brani dalla spiccata vena funk, ovvero “Can’t Stand Your Funk”, il brano più influenzato da “Head-Hunters” (1973), “Cosmic Strut” e “Be Happy”.
I brani migliori sono però quelli che si discostano, almeno in parte, da questo canovaccio ovvero “Eternity’s Breath part 1 & 2” e “On the Way Home to Earth”. La prima è una suite di quasi otto minuti divisa in due tracce. Il brano è contraddistinto da uno splendido riff di chitarra (ripreso più volte dal vivo dai Gov’t Mule, spesso all’interno di Trane – calligrafica la versione in “Live at Roseland Ballroom”), che precede e conclude una lunga jam strumentale caratterizzata dal poderoso drumming di Walden, dalle fughe al violino di Ponty e dalle estatiche voci che pronunciano “A Love Supreme”, evidente tributo alla musica di John Coltrane. Il secondo è un ottimo brano sperimentale contraddistinto dalla chitarra del leader alterata da effetti elettronici. Bella e coinvolgente “Lila’s Dance”, che dopo una introduzione caratterizzata da un bell’arpeggio di chitarra sfocia in un torrido brano dall’anima blues lacerato da un notevole assolo di chitarra. Interessanti “Pastoral”, con l’ottimo violino di Ponty, che mostra velleità classiche evidente eredità del disco precedente per gruppo e orchestra “Apocalypse” (1974); “Faith”, un breve interludio concluso con una fuga strumentale a velocità elevatissime; “Earth Ship”, il brano maggiormente riflessivo. Superflue le brevi “If I Could See”, “Pegasus” e “Opus 1”.
Si tratta in sostanza di un ottimo disco, privo dei manierismi e degli esasperati virtuosismi tecnici e ritmici che in alcune occasioni esasperavano l’ascolto di capolavori come “Inner Mounting Flame”. Si tratta di un disco di fusion con forti venature funk, sicuramente ispirate all’ascolto di quanto in circolazione in quegli anni. Il sound, dominato dal violino di Ponty e dalla chitarra del leader, appare maggiormente equilibrato che in passato e questa versione della Mahavishnu appare nel complesso meno aggressiva nell’approccio e, complessivamente, più raffinata. Il disco è quindi consigliato sia agli amanti della prima incarnazione della Mahavishnu che ai palati meno abituati ai vorticosi tecnicismi del primo gruppo.
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