Blackfoot - Highway Song (Live, Zurich 1982)
Vi ho mai raccontato di quella volta che suonavo in una band di rocchenròlle? Sì? Un milione di volte? Vabbè, ma questa in particolare non credo la sappiatevela, per cui chi vuole invidiarmi è libero di farlo, e può leggere o meno il seguito.
Orbene dopo due mesi di prove avevamo messo su un discreto repertorio: un paio d'orette buone le potevamo tenere purché, come dire... diluissimo un (bel) po' i pezzi.
E questo dei Blackfoot è un pezzo diluibile assai, come si sente e si vede (malissimo, ma l'ho messo proprio per rendere l'idea) nel video.
Inzomma eravamo al debutto: Motoraduno di Plaino, una due giorni con cinquemila persone previste, data anche la concomitanza col Sunsplash, che allora si teneva a Osoppo.
Me la facevo sia sotto che sopra, ché fisicamente ed esteticamente non corrispondevo per nulla all'idea del rocchettaro sporco catívo & droghato ed effettivamente, a parte la grande e varia quantità di sostanze psicotrope che assumevo, ero "fuori" sì, ma dal cliché.
Ma sorvoliamo tutto il memorabile - non lo dico io - concerto e arriviamo alla fine: arriviamo alla VERA ciccia!
Questo era l'ultimo pezzo, e l'avremo tirato minimo per venti minuti.
Io e l'altro chitarrista - "Fender Lead II" vs "Gibson Diavoletto" - ci rincorremmo due strofe a testa in interminabili assoli, che poi confluirono nel classico finale lisergico in cui avremmo voluto sfasciare gli strumenti, tanto eravamo gasati.
Ma eccoci al punto, al VERO scopo di questa storia.
Durante gli assoli alternati, quando toccava a me accompagnare la Gibson di Gianni Trevisan, il mio contraltare e viceversa, mi giravo verso il mio amplificatore (Vox) dove c'era sempre qualcuno che ci appoggiava sopra qualche birra, qualche canna eccetera.
Invece quella volta c'era appoggiata anche una strafigona imperiale, dalla chioma feroce, tutta vestita in pelle, con un paio di quegli enormi orecchini che ammé mi fanno ribollire il Merlot che ho al posto del sangue.
Orbene finito il concerto, siccome dovevamo suonare l'indomani pomeriggio, qualcuno ha tirato fuori un paio di tendine canadesi, una per me e una per il batterista, ché entrambi volevamo dormire sul palco.
Non capirò mai come abbia fatto quella straordinaria creatura a materializzarsi nella mia tenda: me la sono trovata addosso all'improvviso, che mi sussurrava cose bellissime - e falsissime ovviamente - tipo: "Ma sai che suoni da dio? Non si direbbe, vedendoti, che sei così intenso".
Ah: la prima - e ultima, nel mio caso - Groupie non si scorda mai.
L'indomani, alle nove di mattina, il batterista per celebrare la faccenda - che ci aveva dato dentro pure lui (non con la stessa, eh!) - mi ha svegliato sparandomi "Highway Star" a manetta sulla Spia dove era appoggiata la mia tenda, e recandomi una birra da mezzo e un Bradwurst per colazione.
Le ragazze erano sparite, manco il nome abbiamo saputo.
Quella sì che era vita, cazzo! Anche se non mi lamento affatto nemmeno di quella che
Vi ho mai raccontato di quella volta che suonavo in una band di rocchenròlle? Sì? Un milione di volte? Vabbè, ma questa in particolare non credo la sappiatevela, per cui chi vuole invidiarmi è libero di farlo, e può leggere o meno il seguito.
Orbene dopo due mesi di prove avevamo messo su un discreto repertorio: un paio d'orette buone le potevamo tenere purché, come dire... diluissimo un (bel) po' i pezzi.
E questo dei Blackfoot è un pezzo diluibile assai, come si sente e si vede (malissimo, ma l'ho messo proprio per rendere l'idea) nel video.
Inzomma eravamo al debutto: Motoraduno di Plaino, una due giorni con cinquemila persone previste, data anche la concomitanza col Sunsplash, che allora si teneva a Osoppo.
Me la facevo sia sotto che sopra, ché fisicamente ed esteticamente non corrispondevo per nulla all'idea del rocchettaro sporco catívo & droghato ed effettivamente, a parte la grande e varia quantità di sostanze psicotrope che assumevo, ero "fuori" sì, ma dal cliché.
Ma sorvoliamo tutto il memorabile - non lo dico io - concerto e arriviamo alla fine: arriviamo alla VERA ciccia!
Questo era l'ultimo pezzo, e l'avremo tirato minimo per venti minuti.
Io e l'altro chitarrista - "Fender Lead II" vs "Gibson Diavoletto" - ci rincorremmo due strofe a testa in interminabili assoli, che poi confluirono nel classico finale lisergico in cui avremmo voluto sfasciare gli strumenti, tanto eravamo gasati.
Ma eccoci al punto, al VERO scopo di questa storia.
Durante gli assoli alternati, quando toccava a me accompagnare la Gibson di Gianni Trevisan, il mio contraltare e viceversa, mi giravo verso il mio amplificatore (Vox) dove c'era sempre qualcuno che ci appoggiava sopra qualche birra, qualche canna eccetera.
Invece quella volta c'era appoggiata anche una strafigona imperiale, dalla chioma feroce, tutta vestita in pelle, con un paio di quegli enormi orecchini che ammé mi fanno ribollire il Merlot che ho al posto del sangue.
Orbene finito il concerto, siccome dovevamo suonare l'indomani pomeriggio, qualcuno ha tirato fuori un paio di tendine canadesi, una per me e una per il batterista, ché entrambi volevamo dormire sul palco.
Non capirò mai come abbia fatto quella straordinaria creatura a materializzarsi nella mia tenda: me la sono trovata addosso all'improvviso, che mi sussurrava cose bellissime - e falsissime ovviamente - tipo: "Ma sai che suoni da dio? Non si direbbe, vedendoti, che sei così intenso".
Ah: la prima - e ultima, nel mio caso - Groupie non si scorda mai.
L'indomani, alle nove di mattina, il batterista per celebrare la faccenda - che ci aveva dato dentro pure lui (non con la stessa, eh!) - mi ha svegliato sparandomi "Highway Star" a manetta sulla Spia dove era appoggiata la mia tenda, e recandomi una birra da mezzo e un Bradwurst per colazione.
Le ragazze erano sparite, manco il nome abbiamo saputo.
Quella sì che era vita, cazzo! Anche se non mi lamento affatto nemmeno di quella che
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