Le sorprese di Internet!
Avevo leggiucchiato qualcosa di Makoto Ozone in passato: pianista dagli occhi a mandorla; valido. Da tener presente, ma niente di più: sai quelle noterelle che ti restano nel privatissimo cassetto dei gusti musicali e letterari nella memoria? Conosco invece qualcosa di più su James Genus e Clarence Penn: non fosse altro per le svariate volte in cui li incroci sui dischi. James Genus è musicista oramai onnipresente; versatile e personale, non è mai invadente e resta sempre misurato nel suo accompagnare. Tutte ragioni valide per chiamarlo a lavorare di nuovo. Clarence Penn: la prima collaborazione che mi viene in mente è con Bollani (Les fleurs bleues); l'abbiamo anche portato a suonare nella mia cittadina col trio di Greg Skaff ed abbiamo avuto modo di osservare un batterista originalissimo: drummer felino, nel senso che in sostanza "accarezza" la batteria. Il suo stile sta a metà tra un Jack De Johnette e un Tony Williams; produce una gran varietà di timbri senza mai rubare la scena al solista di turno, mantenendo al tempo un solido timing di fondo.
Ora, browsacchiando per caso su uno dei miei E-Bay shops preferiti, vedo che le offerte per il disco in questione sono ferme a livelli di centesimi; il tempo sta per scadere e, lette due righe descrittive, decido di rischiare un paio di dollari (ma dai: rovinati!). Morale, pago il disco $1,80 più $3,90 di spese postali senza la jewel case: meno di 5 euro totale e mi sono appiccicato ‘sto disco! Facciamo conoscenza con quest'opera di Mr Ozone: dalle note di cover, è stata incisa nel 2005 dopo dieci anni di stretta collaborazione e concerti in trio. Makoto decide di portare in studio il gruppo e registrare in diretta, quasi come dal vivo, pregando i suoi collaboratori di portare nuovi brani. Penn firma i brani 3 e 9 mentre di Genus sono l'1 e il 4.
Ci si alterna tra il piano trio classico e la versione elettrica, con basso e piano Fender Rhodes. Lo scenario, contrariamente a ciò che si può pensare, pur essendo timbricamente variegato, non è "dispersivo", nel senso che si intuiscono comunque il forte amalgama di base, l'identità ben marcata del gruppo ed un affiatamento notevole: i cambi di tempo, gli stacchi, i passaggi tra latin e swing sono attentamente eseguiti mantenendo l'obiettivo di fondo di creare oggettivamente della gran bella musica. Alta qualità. Siamo a metà tra i primi settanta (George Duke-Stanley Clarke, il Jazz Rock dei Soft Machine/Nucleus/Perigeo) ed una dimensione jazzistica più tradizionale ma caratterizzata da stilemi non banali. Decisamente bisogna penetrare a fondo nella musica di questo Ozone: un bel buco nell'Ozone. Scusate, m'è proprio scappata! A questo punto è doverosa una disamina brano per brano. Astenersi disinteressati dal genere, please:
•1) "Central Booking": Trio elettrico per un brano che all'inizio mette la giusta tensione con un ostinato di ripetizioni di basso su una sola nota. Progredisce man mano su canoni di "song" molto godibile. Drumming delicato ma ben presente ed a tratti schizoide. Mancherebbe un solo di Frank Zappa od un fiato; preferibilmente un sax alto. Ma il brano è un gioiellino per palati fini. Intimista quanto basta.
•2) "New child is on the way": piano acustico e contrabbasso. Inizia con una cadenza classicheggiante per poi andare sul latin e sviluppare. Molto Rubalcaba o similari. Bellissimo solo di contrabbasso all'inizio, su questo solido tempo "in due". Piedino batte ed orecchio gode. Orgasmo di latin-piano a seguire, con brevi sfoghi swing e ritorno al tempo in due: "back and forth". Intreccio di tempi. Frenate ed elaborazioni ritmiche senza batteria. Ripresa e break finale
•3) "The blue zone": Torna l'elettricità per un pezzo in cui si evidenziano le doti tecniche e l'incastro perfetto tra batteria, mano sinistra di Makoto e le linee del basso. La dimensione è quella del Perigeo, quando D'Andrea partiva per la tangente ed infilava riff su riff. Ricorda in qualche maniera il progressive anni settanta, Arti & Mestieri inclusi. Bel solo di batteria.
•4) "October song": E' una traccia romantica sofferta e godibile. Sinora è ancora difficile rintracciare modelli e riferimenti nello stile di Makoto Ozone. Gli studi classici sono abbastanza evidenti nell'impostazione generale e nell'approccio allo strumento. Concentrato solo di Genus al contrabbasso. Il tono generale del trio con il vestito acustico è il jazz nordeuropeo, Ecm in testa.
•5) "Second thoughts": Questi "ripensamenti" finalmente tradiscono un amore di Ozone: Chick Corea! Ci siamo, finalmente! Questo brano sembra preso di peso dal Corea in trio degli esordi. Ostinato pedale e controtempo di contrabbasso e batteria creano un'attesa spasmodica che si libera in uno swing mozzafiato a circa tre minuti dall'inizio. Tanto di cappello (scusandoci con l'aiutante del. . . Mago Casanova!). Eccezionale, stellare. Drums solo verso la fine. Da studio.
•6) "You're not alone": Proseguiamo con l'acustico per un pezzo delicatissimo, il cui tema viene introdotto dal contrabbasso. Alcuni incisi del piano sono tratti di peso dalla tradizione classica europea. A 3: 20 il pezzo decolla e si dispiega. È un tentativo di fondere il classico col jazz. Per questo forse rappresenta il momento più atipico del disco, senza comunque sfigurare nella raccolta.
•7) "Dance on the beach": Siamo a "Light as a feather" o giù di lì: magari gli Azimuth brasiliani? E' in sostanza una bella e rilassante samba: semplice a sentirsi, decisamente meno facile da suonare! Giocata su controtempi e riffs, agevolati dalla strumentazione elettrica, che avrebbero fatto la gioia del Furio Chirico degli anni d'oro e del suo rullante tirato ed inclinato. Flora Purim sembra spuntare da dietro l'angolo ma invece no: all'improvviso spunta fuori direttamente da Marte un solo di basso elettrico di Genus che ti fa balzare dalla sedia!
•8) "Blues of Oz": Approccio obliquo per un brano che contrariamente all'enunciato del titolo di blues vero e proprio non ha molto se non alcune citazioni decostruite e inframmezzate caleidoscopicamente dai tre in un fluire acustico che parte, si alza, si ferma e riprende. Pazzi scatenati. Come solo i veri jazzisti sanno essere. Bel solo di contrabbasso. Fusione tra Chick Corea e Steve Kuhn (da non confondere con il chitarrista Usa Steve Khan!), o magari altri musicisti specialisti del genere "freddo europeo" (la fusione fredda è alle porte?!)
•9) "Dalì": Dalle note scritte dallo stesso Ozone, è un brano ovviamente ispirato all'arte del pittore ed a lui dedicato. A mio modesto parere, se con un quadro di Dalì comunque te la cavi con un'occhiata, più o meno lunga, qui invece per diversi minuti ascolti un indecifrabile tentativo di fare un po' di macelleria free: "indecifrabile cosa" che ogni jazzista che si rispetti insiste a ficcare a forza dentro un'opera di altri più consueti sapori. Per fortuna ogni tanto ci sono sprazzi di musica che come coordinate nella notte ti aiutano a venire a capo della questione senza eccessivo mal di capo. È comunque un altro aspetto del trio. Interessante, seppur non molto in linea col resto del disco. Massì: alla fine ci sta pure bene.
•10) "Memories of Mom": Ovviamente dedicato dal compositore alla sua mamma ed a tutte le mamme del mondo. Un ¾ (tempo dispari) in elettrico, con sognante atmosfera da "Affinità" (Evans-Thielemans). Delicato tocco finale per un album bellissimo ed assolutamente degno di nota.
Quindi, di che genere parliamo? Non si sa: ibrido tra jazz ed electric rock? Ed i riferimenti classici? Mah! Per tutti coloro che comunque sono affascinati da cose nuove, che non hanno molte certezze nella vita (e chi può dire di averle?) questo disco è uno stimolo nuovo, e per accompagnarne la "degustazione" sarebbe consigliabile il bel libro di Jeffrey Eugenides "Middlesex".
In sostanza, la musica ed il bello si annidano dove meno te l'aspetti e Santa Rete ci aiuta a scovare gemme preziose ed artisti nuovi. Magari a prezzo buono, che di questi tempi non guasta.
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