E' bello spulciare tra vecchi sogni, soprattutto quando poi riaffiora un segreto quasi dimenticato, ad esempio una manciata di canzoni che per qualche stagione ti ha fatto buona compagnia e che l'enorme carico dei capolavori rock ha poi sepolto sotto i suoi enormi, pesanti scaffali.

Ecco, qualche giorno fa mi è capitato tra le mani un impolverato reperto dei tardi settanta, una cassettina TDK, registrata per me dal mio amico Orsetto, con brani favolosi di gente tipo Stogees, Doors, Tim Bucley, Traffic, Pearls before swine, Faust, Devo, Talking heads., Contortions.

In mezzo a quei nomi altisonanti Orsetto aveva infilato anche quello, esotico e assolutamente sconosciuto, di Mama Bea Tekielski, mettendo due sue canzoni “Le fils du roi” e “Le mots”.

Ecco, se per caso vi state chiedendo che ci stava (e che ci sta) a fare quella Cenerentola in mezzo a tutti quegli alti papaveri, vi risponderò dicendovi che ci faceva (e ci fa) la sua porca figura. E la mia risposta è basata sulle impressioni di oggi, non solo su quelle d'allora, visto che la cassettina l'ho riascoltata, emozionandomi non poco.

Dando poi corda a quell'emozione, abbastanza eccitato e sfidando ulteriormente la polvere, ho riesumato un altro vecchio reperto, l'album “ Faudrait rallumer la lumiere dans ce fotou compairtament”, titolo bellissimo che mi ha sempre fatto pensare a uno speciale tipo di poesia, quella scritta a briglia sciolta e che si limita ad aprire i rubinetti fregandosene dello stile.

Ho riesumato, ho riascoltato.

E ho ritrovato: una voce grezza, roca, potente e capace anche, quando serve, di incredibili virtuosismi; delle ballate rock, ispirate e spiritate, caratterizzate da un'urgenza espressiva e da una folle energia quasi punk; un suono caldo, compatto, punteggiato da una ritmicità, a tratti sfrenata che non fa prigionieri.

Ma anche dolci lieder notturni e recitativi intensi e fragili.

E persino un brano di quindici minuti quindici diviso tra essenziale ossessività, ritmo convulso e canto isterico. Avete presente quanti disastri progressive son stati combinati sulla lunga distanza, vero? Beh, qui c'è solo intensità. Non so, immaginate una Marianne Faithfull che canta come Tim Buckley in “Starsailor”.

Io però Mama Bea la preferisco sulla distanza breve. E, del resto, le maratone le sapevano fare solo nelle terre kraute e nel Granducato di Canterbury.

Io e Orsetto adoravamo questo disco e ogni tanto ripassavamo quelle poche frasi in francese che riuscivamo a capire. Cose tipo: la notte che ti chiede come va... il lasciare nel cuore le parole che nessuno può capire.. il peso della paura come un lenzuolo di cemento sul corpo irrigidito nel buio...l'agire che non chiede il permesso...l'assenza che è come una strana specie di rabbia sulla punta delle dita...

E poi quel “che fate voi della vostra vita?” ripetuto ossessivamente nel finale di “La vie”.

“Faudrait rallumer...” è un'opera sanguigna, scoppiettante, passionale che si muove tra canzone d'autore, sperimentazione, poesia e tutte le istanze di rinnovamento del rock di fine 70. Con in più il pregio di una grande originalità. Che questo disco non assomiglia a nessun altro.

Ah Mama Bea, Mama Bea di te non so molto, se non che avevi l'abitudine di presentarti sul palco con delle grandi bambole di pezza, se non che sei figlia di una fioraia italiana e di un violinista polacco, particolari che, non so perché, mi mettono di buon umore.

Avercene di fioraie e di violinisti...

Ah, so che ti piace Leo Ferrè...e che eri uno scricciolo dai capelli rossi...uno scricciolo che suonava la chitarra come una mitragliatrice, come diceva quel critico...

E, comunque, a volte è bello non sapere molto.

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