Un allenamento vero chiede lungo tempo, un film ambizioso chiede pazienza. Come lo scontroso Kumatetsu con il piccolo Kyuta, il buon Hosoda non tratta particolarmente bene il suo spettatore, gli chiede molto, mettendo molto fieno in cascina con lenta saggezza, accumulando, stratificando argomenti e spunti, rischiando quasi di confonderli e disperderli. Poi, come in un'epifania, ci si rende conto che tutti i fili del discorso si intrecciano perfettamente e restituiscono gli sforzi di pazienza e attesa con una fiammata epica di grande potenza.

Gli argomenti sfiorano quelli già accarezzati in Wolf Children, ma con un approccio diverso, meno delicato, maggiormente incentrato sulla capacità e la volontà di essere decisi nella vita, di sapere cosa si vuole fare con il proprio tempo. Con i personaggi, vengono costruiti anche i loro vuoti, i loro crateri interiori, e poi si dà loro una speranza di affermazione personale, tutta da verificare “sul campo”. Il protagonista, Ren/Kyuta è scisso tra il mondo degli uomini, con le sue lacerazioni, e quello delle bestie, difficile ma più armonico, con delle scale di valori ben precise e una mitologia lineare, gerarchica. Ma il richiamo alla sua vera natura è irresistibile, e al contempo foriero di pericoli, perché gli uomini coltivano le tenebre nel loro cuore.

Insomma, temi classici, ma apprezzabili per l'austerità della loro rappresentazione scenica, che non concede davvero nulla al lato consolatorio. Nella parte finale l'enigma si scioglie con una bellissima interpretazione del rapporto maestro - allievo e una riflessione sulla necessità della verità nel percorso di crescita di un bambino ferito. E nelle iperboli di tensione si ritrova tutta la fertilità della narrazione precedente, dura, aspra, ma ricca di sfumature decisive, che solo più tardi vengono apprezzate a dovere da chi sta guardando il film.

La paura, ma anche la razionalità umana; la forza, ma anche i limiti del regno animale. Tutte queste dicotomie si fondono in una visione epico-magica che tutto riequilibra, celebrando al contempo l'importanza e la necessità del sacrificio per la sopravvivenza di entrambi i mondi. Anzi, il sacrifico è quasi un dolce nettare che ripaga delle asprezze della vita. Tutte le ferite quotidiane assumono il loro senso compiuto solo nel momento in cui si scavalca lo scoglio del proprio egoismo, accettando di “annullarsi” per vivere più pienamente nell'altro.

Un'opera forse meno bella da vedere di altre del maestro, che solleticavano maggiormente il gusto estetico. Restano alcuni bei campi lunghi e sicuramente i personaggi, soprattutto quelli bestiali, sono disegnati con tratto felicissimo. Ma manca quella lusinga totale del guardare, forse proprio perché si tratta di una storia di crescita faticosa, di disagio, di impossibilità di trovare un luogo a cui appartenere davvero. E quindi gli scenari sono spesso ostili, per Ren/Kyuta. Si sciolgono in tramonti meravigliosi solo quando il ragazzo ha trovato la sua dimensione.

I personaggi hanno la stessa lenta evoluzione del film, ma al pari ripagano la pazienza. Ognuno trova il suo spazio, ognuno ha un suo significato nella riflessione complessiva. Che, superfluo sottolinearlo, è particolarmente azzeccata in questo momento storico. Insomma, genitori e figli, ma anche educatori e insegnanti, allievi e alunni, potrebbero imparare qualcosa da questo film.

7/10

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