Chiunque abbia una seppur limitata visione del genere Viking, dovrebbe prendersi la briga di ascoltare questa magnifica band.
Sì perché al di là di tutta la mole di produzioni e di dischi legati a quello che all'inizio era un sotto-genere del Black, i Månegarm hanno inteso aggiungerci una tale quantità di sentimento e di attaccamento alla propria terra, e al folclore di questa, davvero eccezionale. Tra i primi ad inserire nei loro brani, che all'inizio della loro carriera erano ferali e selvaggi come non mai, non degli inserti melodici, ma bensì intere parti che riverberavano di luce propria, e che riflettevano l'estrema vena creativa della band, sempre in bilico tra martellante ed assordante "assalto alla baionetta" e atmosfere epiche, quelle da "grandi eroi". Quelle che in definitiva hanno poi fatto la fortuna di Finntroll, Enslaved, Borknagar, ecc.
Questo loro ultimo album, quindi, può a buona ragione collocarsi come la loro opera "summa". L'evidenziare quanto di più mastodontico e maestoso ci sia nel loro riconoscibilissimo suono.
Brani uno diverso dall'altro. Sempre intricati, sempre con quella vena raffinata e malinconica che riaffiora, che sanno essere bastonate senza pari, ma che spesso e volentieri si abbandonano nel corpo di una stessa canzone a mille rivoli, a mille sfaccettature, a mille percorsi che narrano di sangue, mare, nebbia, neve e guerrieri. Niente di nuovo sotto al cielo, per carità. Ma, anche quello che già si conosce quì è dato comunque al massimo del massimo che si possa immaginare. E non è uno scherzo.
Per nulla denigrare a quanto fatto da altri loro similari (anche se è un bello azzardo: i Månegarm sono i Månegarm e basta), questi sanno benissimo dove andare a parare per ricavare l'impossibile dal misasma di un genere che ancora non è saturo, certo, ma che comunque è destinato nel suo futuro a fagocitare schiere e schiere di cloni.
Nessuno che ami il l'epicità e le cavalcate sonore, potrà rimanere fermo ascoltando una canzone come "Minnen-En Fallen Fader", che da sola spazza via il 70% delle band che si reputano affini a queste cose: scream a chitarre schiacciasassi che molti punti di contatto hanno con un cazzutissimo Thrash Metal, e poi, nuovo giro, una voce sporca ed urlata, un violino che danza schizofrenico e si barcamena nella struttura melodica, un coro epico da far rabbrividire, l'incedere cadenzato e cattivo della ripresa, la malinconia della seconda voce femminile, e di nuovo, alla fine, chitarre affilate come rasoi che corrono e si fanno inseguire senza che si riesca a respirare. Ma non è solo una canzone a dare il voto ad un album, e a ragione!
Tutti quanti i capitoli di questo disco (che pare sia un concept, e come da migliore tradizione, è interamente cantato in Svedese), meriterebbero un lungo commento a parte, ma che quì sarebbe inutile nonché superfluo, semplicemente perché sarebbe fatica sprecata descriverne i sensi e i meriti. Vi basti sapere che le sensazioni che vengono risvegliate da questo album sono molteplici, e vanno dal malinconico ed affascinante ("Den Gamle Talar"), sino all'epico con venature gotiche ("Visioner På Isen"), passando al feroce ("Genom Världar Nio", "Nio Dagar, Nio Nätter", "Vargstenen"), e dal folcloristico ("Eld", "Vargbrodern Talar"), sino all'apoteosi dell'originalità con "Vedergällningens Tid", un brano che racchiude in sé tutti i tratti distintivi dello "Swedish Viking Metal", e che dovrebbe essere da esempio per chiunque si picchi di capirne qualcosa e di riprodurre questo stesso qualcosa su un pentagramma.
Dunque niente scherzi. Non c'è trucco e non c'è inganno. A meno che altre talentuose e affaccendate band non ci donino materiale che dia a questo lavoro filo da torcere (mi riferisco, per esempio ai Moonsorrow), candido per quanto mi riguarda questo album a migliore dell'anno, con buona pace di quelli passati in questo semestre, e pure di quelli futuri a venire.
Non consigliati. Stramaledettamente da avere. E che Thor vi fulmini se mancherete d'acquistarlo.
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