Nell'epoca della "computer musica" c'è ancora chi suona nelle polverose cantine. Chi se ne sbatte del marketing e della pubblicità. Sono i Manilla Road, seminale band di heavy metal nata nel lontano 1977, a Wichita, Kansas.
I Manilla Road, che hanno il proprio simbolo nel chitarrista e vocalist Mark Shelton, sono sempre stati sottaciuti (colpevolmente) dalla critica e da gran parte degli appassionati del metal più classico, anche se c'è da sottolineare che il loro essere sempre un po' fuori dagli schemi non li ha certo aiutati.
L'ormai quasi quarantennale carriera parla per loro e lavori come "Crystal Logic", "Open The Gates" e "The Deluge" sono riusciti ad imporsi come perle assolute dell'epic metal più grezzo e viscerale. Questa lunga epopea ha trovato un ulteriore episodio con la pubblicazione di "Mysterium", uscito a febbraio, ed ennesimo capitolo della loro discografia. La curiosità per questo disco era legata direttamente alle due uscite precedenti: "Voyager" (2008) è stato un lavoro "strano" per Shelton e soci. Un'opera ancora più magniloquente e che ha portato una carica innovativa che è ben rappresentata dall'apparizione del growl, mai utilizzato fino ad allora, e abbandonato in seguito. Più in generale, un episodio maggiormente "prog" e cupo nella storia recente della band. Discorso diverso per "Playground Of The Damned" (2011), un album più classico e abrasivo, il tipico lavoro del "ritorno al passato". Pur nella loro differenza possono considerarsi entrambe come esperienze riuscite. Dove si posiziona il nuovo lavoro?
Intanto c'è da sottolineare un aspetto decisivo: forse per la prima volta nella loro carriera i Manilla Road puntano su una registrazione meno "artigianale", alla ricerca di una pulizia sonora mai cercata in passato. Il risultato è notevole, soprattutto se paragonato ai lavori precedenti: rimane però un grezzume di fondo che è essenza iconica di questi texani. Un lavoro preceduto dall'ennesimo cambio di line up: il punto fermo però, c'era e ci sarà anche in futuro, quel Mark Shelton che è assoluto protagonista anche in questo nuovo cd.
Per quanto riguarda la qualità, "Mysterium" pur essendo un ottimo disco di epic metal all'antica, manca di quel pizzico di incisività e pathos capace di dare un qualcosa in più. Pezzi come "The Grey God Passes" e "Hermitage" non riescono ad incidere, probabilmente penalizzati proprio dai suoni. Giudizio "sospeso" su un brano come "The Calling", una sorta di ambient d'atmosfera francamente poco congeniale alla band e il risultato è infatti ambiguo e poco comprensibile. Ma "The Shark" Shelton sa tirare fuori anche "Stand Your Ground", "The Battle Of Bonchester Bridge" e "Hallowed Be Thy Grave", tutti ottimi esempi dello stile Manilla, dove il pathos e la teatralità del loro stile emergono in tutta la loro forza. Ma come spesso Shelton ci ha abituato negli ultimi lavori la sorpresa viene dalla ballad (si veda "Eyes Of The Storm" in "Voyager" e "Art Of War" in "Playground Of The Damned"). Il brano in questione è "The Fountain", uno splendente quasar acustico di pregevole fattura, dove Shelton sfodera il suo lato più sognante ed intimista.
Nel complesso "Mysterium" conferma una band che ha ormai delineato il proprio cammino e il risultato è quello di un album buono, ma non ottimo, tradito da alcuni pezzi un po' standardizzati e fini a se stessi. La stessa titletrack (incentrata sulla scomparsa dell'esploratore tedesco Leichhardt), appare come uno dei pezzi meno riusciti, sebbene il lungo minutaggio.
Nella discografia della band è un ulteriore passaggio positivo, ma tra i solchi della primitiva sei corde di Shelton, si nota l'affacciarsi di una innegabile stanchezza.
1. "The Grey God Passes" (4:05)
2. "Stand Your Ground" (2:57)
3. "The Battle Of Bonchester Bridge" (4:29)
4. "Hermitage" (6:01)
5. "Do What Thou Will" (4:09)
6. "Only The Brave" (3:36)
7. "Hallowed Be Thy Grave" (4:38)
8. "The Fountain" (4:28)
9. "The Calling" (4:01)
10. "Mysterium" (11:21)
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