L’Epic Metal è sempre stato un genere affine a se stesso. Cosa intendo dire? A differenza di altri generi, come il Glam/Hair o l’AOR, non è mai stato fatto per scalare classifiche, o arrivare nella posizione più alta della Billboard 200. E se vogliamo, sono pochi i gruppi che sono riusciti a “sfondare”. Il primo che viene subito in mente è facile, i Manowar. Tanto criticati quanto amati, questi ultimi hanno rappresentato nei primi anni 80’, la prima vera definizione di quel che poteva chiamarsi “Epic”, con capolavori nel proprio senso della parola come “Into Glory Ride” o “Hail To Englan”. Più tardi, arrivarono i Virgin Steele, con il genio di David Defeis a guidare il genere epic negli anni 90’, fra cui ricordiamo la mitica saga di “Marriage Of Heaven And Hell” ed “Invictus”, anni in cui il metal classico sembrava destinato a soccombere in favore di decine di nuovi generi musicali nati proprio in quegli anni.
Molti altri ovviamente, furono i gruppi epic che vissero praticamente tutta la loro carriera nella scena underground. Omen, Medieval Steel, Cirith Ungol, Domine… Ma c’è un gruppo, che mi ha sempre colpito per la perfezione dei loro album, e per il fatto anche di non aver quasi mai fatto un passo falso nella loro carriera. Parlo dei Manilla Road, gruppo fondato nel 1977 dal cantante e chitarrista Mark Shelton. Con un inizio carriera basato su due album sperimentali come “Invasion” (1980) e “Metal” (1982), i Manilla Road cominciarono a farsi conoscere negli U.S.A., ed in Europa, ma fu con la pubblicazione di “Crystal Logic” (1983), che i Manila raggiunsero il loro tipico sound, che fu per moltissimi gruppi Epic a venire, fonte di vera ispirazione. Il disco che andrò a recensire però, uscirà due anni più tardi, nel 1985, e che avrà il nome di “Open The Gates”. Con liriche su temi nordici e leggende risalenti all’epoca di Re Artù, la band di Mark Shelton troverà in questo album il suo vero e proprio apice, che salirà ulteriormente con la pubblicazione poi, di “The Deluge” (1986) e “Mystification” ( 1987).
Canzoni irrompenti come “Metalstorm” o la Titletrack, non possono che far già capire all’ascoltatore quale sarà la via dell’album, fra ottime se non perfette, prestazioni vocali di Mark Shelton, una batteria dirompente guidata dalla nuova recluta Randy Foxe, e ottime cavalcate di basso di Scott Park. Pezzi invece più lenti come “Astronomica” e la magnifica, se non miglior pezzo dei Manilla di sempre, “The Ninth Wave”, fanno capire che il gruppo di Shelton non è uno di quei gruppi capibili né al primo, e né al secondo ascolto. Si ha qualche declino con “Heavy Metal To The World”, ma in capolavori come questo, sono assolutamente passabili. Pezzi invece come “Road Of Kings” e “Witches Brew”,dovrebbero essere far sentiti ai bambini, da quanto la loro bellezza è indescrivibile.
I Manilla Road quindi, sono uno di quei (tanti) gruppi che non hanno mai raccolto ciò che hanno seminato. Album capolavori di un genere che, a volte, è fin troppo bistrattato. Per i fan dell’Epic, album di questo calibro equivalgono a tesori nascosti, di un valore incalcolabile. Riprendendo una frase che mi rimase impressa, leggendo una recensione su questo album, chiudo dicendo:
“L’Epic Metal non parla di draghi che rapiscono principesse, principi con spade di smeraldo, o oscuri maghi arcigni, ecc… Questo sono tutte cazzate! Il vero ed unico Epic Metal è un genere di culto, un vero e proprio modo di vivere e pensare, che si coltiva nel tempo, e che non può essere improvvisato da un giorno all’altro.”
Carico i commenti... con calma