Non l'ho fatto di proposito, ma sulla faccia mi si è dipinto un sorriso sottile la prima volta che ho messo su "Helldorado" dei Negrita. Disco che peraltro ho consumato tra aprile e maggio, un po' in ritardo ma che volete sono cose che capitano. Comunque, la mia (apparente) ilarità nasceva da rimandi talmente sfacciati da risultare quasi sfottò. Sembrava un disco dei Mano Negra, mentre pensavo alle diecine di ascoltatori convinti di una nuova originale svolta del gruppo fiorentino.
Di tutt'altra pasta è invece questo "Puta's Fever" - con cui in gergo si indica una malattia contraibile sessualmente - del 1989. Non vorrei raccontare per l'ennesima volta la solita solfa sulla Patchanka e quanto era figo Oscar Tramor prima di diventare Manu Chao, e su quanto davvero erano fiki i Mano Negra; anche perché qui quello che merita più attenzione è quanto si respira in questi 40 minuti. Il vertice artistico a mio modesto parere, dove tutti gli elementi - caratteristica mai così azzeccata quando si parla di questo ensemble - affiorano alla perfezione dal piatto succulentissimo preparato dai nostri maître. Innanzitutto punk, assalto terzomondista all'arma bianca di clashiana memoria. E da qui partono i rivoli con cui stemperare il tutto: echi latinoamericani, dub & reggae, passaggi e paesaggi psichedelici. Inflessioni pop e fraseggi blues. Un'affinità hard rock espressa già dalle prime battute (Rock n Roll Band). Persino un valzerino nel finale - El Sur. Ma soprattutto, aldilà delle etichette, ci sono grandi canzoni. La strafamosa King Kong Five in primis, trainata da un video epico. Poi Soledad, Peligro (magnifica!), The Devil's Call. Ma insomma, citare alcuni pezzi è fare un dispetto agli altri, tanta è la robba buona che c'è qui dentro, tanti sono i cambi di tempo, tante le alternanze di dinamiche forte-piano care ai Pixies. Ogni canzone sfocia in un'altra e poi in un'altra ancora, e si rimane sempre sullo stesso pezzo. Tutto cambia, tutto ruota attorno al beat incessante di Santiago Casiriego, un po' in battere, un po' in levare. Dei veri carri armati.
Urgenza espressiva che attraversa tutto l'album, mai una battuta a vuoto o un momento di noia. Una corsa a perdifiato alla ricerca della spiritualità più pura e combattiva, al meglio rappresentata dalla doppietta Sidi H' Bibi - The Rebel Spell. Qui l'anima di questo grande gruppo esce chiarissima, ancora una volta più forte che mai.
They sound like monkeys!
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