I Manowar sono una band complessa, molto più di quanto la critica e gli "esperti" possano pensare. Non intendo tanto a livello tecnico-compositivo (non siamo certo di fronte a un gruppo progressive) ma nel modo di rapportarsi con la canzone, con i suoni e con i testi, cercando di dare quel brivido in più all'ascoltatore, quella sensazione, che va ben oltre i super assoli o i riffoni spacca montagne.
Questa filosofia viene espressa al massimo in "Into Glory Ride", secondo album della band newyorkese uscito nei negozi nel lontano 1983, un anno dopo il disco d'esordio "Battle Hymns", che seppur ancora acerbo già metteva in chiaro gli intenti dei 4 giovani americani. Ostinati più che mai ad affermare la propria visione e concetto di musica i Manowar incidono a tutti gli effetti un disco eccezionale, una bomba pronta ad esplodere, destinata a far nascere e crescere in parallelo un genere dell'heavy metal fondato sui sopraccitati valori e permeato da tematiche epiche atte a trasportare chi ascolta in un altro mondo, magari migliore, dove poter nascondersi dal grigiore moderno e liberare la fantasia, ormai morta nel panorama metal (e non solo) attuale. Sto parlando dell'Epic Metal.
Si parte allora con "Warlord", l'unica canzone del platter che si discosta dalle altre sia per sonorità che attitudine, introdotta da una simpatica registrazione ormai storica per ogni metalhead (che vi lascio scoprire da soli).Siamo di fronte infatti ad una heavy song scanzonata, puramente ottantiana, pregevolmente rifinita dal chitarrismo di Ross the Boss. Ma il vero album inizia con l'incedere maestoso di "Secret Of Steel" che riesce a mettere in evidenza le migliori peculiarità di ogni componente e facendoci notare che il viaggio è iniziato.
Si prosegue con "Gloves Of Metal", che si apre con uno dei riff più belli della storia del gruppo. Possente e melodico al tempo stesso, come d'altronde è il resto della canzone, che, perfettamente orchestrata ci porta a cantare a squarciagola con Eric Adams nel liberatorio ritornello, dal quale è impossibile restare indifferenti. Il testo è un inno al metal e al fan che lo vive e supporta. Tema che in futuro verrà purtroppo abusato nelle liriche della band.
Passiamo alla quarta traccia. Qui un arpeggio di basso di Joey DeMaio (famoso per il suo uso melodico dello strumento) ci apre letteralmente le porte del Valhalla. Basta chiudere gli occhi e appariranno davanti a voi, mentre come un moderno poeta, il dotato singer della band vi narrerà di un guerriero nordico che, morto in battaglia, si appresta a sedere accanto a Odino. Questa è appunto "Gates Of Valhalla", un gioiello del genere, che cattura e non lascia più, tantomeno quando iniziano a farsi sentire la sezione ritmica e la chitarra, dando vita a una marcia fenomenale dove i suoni e l'atmosfera riescono veramente ad emozionare.
Forse non riesce a toccare questo apice la successiva "Hatred", canzone particolarissima, da ascoltare a fondo per essere compresa, dotata di un intermezzo atipico dove la malvagità e l'oscurità qui racchiuse si aprono a improvvisi bagliori di dolcezza musicale. Il brano è cattivissimo e sperimentale e quindi probabilmente non assimilabile da chiunque.
Con "Revelation (Death's Angel)" e "March For Revenge (By The Soldier Of Death)" i dubbi si azzerano. Queste epiche cavalcate, sono vere e proprie prove da manuale per i Manowar. In tutti i sensi. La prima, incentrata sul tema dell'apocalisse biblica, è elettrizzante, una poderosa cavalcata contornata da corhus entusiasmanti con un Columbus dietro le pelli incalzante come non mai... La seconda, dal testo molto violento, fa invece ricorso a quelle soluzioni sonore e melodiche, che, abbinate alla graniticità del metal la rendono fantastica e ricca di atmosfera, perfetto sunto e finale di un viaggio, a tutti gli effetti, epic.
Si conclude così, quindi, il secondo disco dei Manowar più ispirati, che in quel dell'83 toccò un vertice nuovo e meravigliosamente classic purtroppo mai più raggiunto dalla band, pur sfornando negli anni successivi lavori eccellenti come "Hail To England" e "Sign Of The Hammer".
Adesso i "4 Kings" orbitano attorno ad un songwriting meno incisivo e ad una proposta musicale differente che può piacere o no, lasciando nei cuori dei fan della "vecchia scuola" la speranza di un glorioso, epico ritorno.
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