I Manowar, si dice spesso, sono come la sugna fritta: o li si ama o li si odia.

Questo non è il mio caso. Diciamo che li ho apprezzati per un breve periodo all’età di quindici anni, per poi riservarli alla nicchia di “musica da allenamento”, senza alcuna connessione sentimentale con essi, fatta eccezione per due o tre canzoni sparse.

Nonostante ciò, alla veneranda età di diciotto anni, vuoi per vedere Londra, vuoi per accompagnare due amici, mi sono ritrovato, con sei ore di anticipo, ad aspettare l’apertura delle porte della O2 Academy a Londra, in attesa dell’arrivo degli autoproclamati Kings of Metal/Gods of War/varie ed eventuali e del concerto che ne sarebbe seguito, annunciato da degli splendidi poster con sopra un pollo ben oleato e pronto per essere arrostito. O un'aquila ricoperta di bronzo, fate voi.

Intorno a me, una folla di TRVE METAL FANS, dal ragazzo con la copertina di Gods of War sulla maglietta al grassissimo uomo sui cinquanta che narra le mitologiche gesta del gruppo negli anni ottanta, fino all’immancabile inglese ubriaco ed alle groupies. E, se anche i Manowar hanno le groupies, c’è speranza per tutti. Sono l’unico che non ha addosso un gadget della band.

Finalmente, dopo un’estenuante attesa sotto la lieve pioggia londinese e tra gli afrori alcolici che emanava una buona parte dei fedeli, ci fanno entrare, dopo averci sottoposto ad una perquisizione aereoportuale: acqua vietata, controllo degli zaini ed entrata a spiccioli, per permettere a tutti di poter fruire del favoloso ed epico merchandising Manowar.

Finalmente, dopo una lunga attesa, la band si palesa, ed è meglio di quanto volessi immaginarmi. Nonostante la non più tenera età – DeMaio viaggia per i sessanta – il gruppo riesce a tenere bene il palco. La tecnica del chitarrista Karl Logan, l’uomo con l’espressione più spenta del pianeta terra, e del bassista Joey DeMaio, l’unico della band che crede in ci sono fuori discussione. Sulla loro espressività ci sarebbe parecchio da ridire, superiore solo a quella dei DragonForce. Il batterista Donnie Hamzik è bravo, ma non al livello dei due colleghi, mentre ad Eric Adams, che pure spara acuti come nel primo periodo “mutande di pelo”, non regge più il fiato. Ovviamente siamo sottoposti ai vari vaneggiamenti sul TRVE METAL da parte di DeMaio anche se solo a guardare la faccia pacioccona del cantate ti scappa da ridere.

La track list non è delle migliori, ed include tutto l’album Battle Hymns, sul quale, mi viene spiegato, è basato l’intero tour. Purtroppo, ad esclusione del suddetto album, la maggior parte delle canzoni suonate sono recenti, dopo che la creatività del gruppo uscì per comprare le sigarette senza più tornare.

In conclusione, un concerto accettabile, breve – appena due ore – e divertente se visto dall’esterno.

Un’esperienza da non ripetere.

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