Questa recensione:
1) è stata già scritta (troppo breve per i miei gusti!)
2) parla dei Manowar, che, sarà un luogo comune, "o li ami o li odi". Scaruffi parla di "metal-pomp" (sic, con le facili battute che verranno in mente...), altri li definiscono degli dei pagani del genere, altri ancora gli darebbero fuoco, o li ridicolizzano nei modi più pittoreschi: io, in due parole, li apprezzo.
Ritengo che "Triumph of Steel", heavy metal ultra-classico, con 50000 urla lancinanti di Eric Adams a brano, i power-chords tiratissimi, gli assoli belli ed ultra-veloci, sia un disco che merita. Coraggiosamente bello. Come dimenticare i 28 minuti e 30 secondi della meravigliosa suite "Achilles agony and ecstasy in 8 Parts", ispirata alla vendetta di Achille nell'Iliade? Si tratta di un brano cui sono particolarmente legato, sia per amore verso la saga omerica (il testo vi è piuttosto fedele), sia perchè è un pezzo di un'insolita (per l'epoca) complessità musicale, pur senza per questo potersi definire progressive. Distorsione a manetta, doppio pedale, ed alternanza di parti furiose ad altre più riflessive (alcune da brivido: "I hear the silent voices, I cannot hide, the gods leave no choises, so... I must die") faranno di questo pezzo una chicca per alcuni, una noia mortale per altri. Si segue con la classica "Metal Warriors", cadenzata ed implacabile, la quasi-thrash "Ride the dragon", e poi uno dei pezzi che preferisco: "Spirit Horse of Cherokee". Incentrata sul massacro degli indiani d'America, e sul "trail of tears" che ne seguì, è basata su un riff di basso pesantissimo, forse monòtono, ma assai accattivante: esso trae la sua forza principale dalla voce di Adams, che arriva qui ad un'altezza quasi disumana. Si prosegue con l'orripilante "Burning": onestamente non si capisce cosa ci faccia questo pezzo (?) in un piccolo capolavoro. Abbiamo poi "The Power Of Thy Sword", dove spade scintillanti entrano in scena su di un riff con la consueta chitarra distorta (rigorosamente palm-muted), doppia cassa (ma và!), e cori degni della cavalcata delle Valchirie: un pezzo da pogo bello e buono, e ci vuole. Il successivo "The Demon's Whip" è un hard rock che ricorda paurosamente "Burning", ma che evolve decisamente meglio (alla fine) sulla falsariga del brano precedente: una corsa frenetica ed accattivante verso la fine del disco. Ecco la vera chicca dell'album, qualcosa che ha commosso almeno una volta nella vita ogni metallaro degno di questo nome: ovviamente, mi riferisco a "Master Of The Wind". Solo chitarra acustica, quasi impercettibile, e la voce di Adams in tutto il suo splendore: ogni sogno è lecito, crediamoci, ed andiamo avanti ad ogni costo. Ne siamo convinti...
Ora, bando ai sentimentalismi: ammesso che sappiate accettare l'estetica (pseudo)guerriera e mega-tamarra, ammesso che non vi dia fastidio leggere gli stereotipati testi, nè vederli vestiti come "He-Man e i Dominatori dell'Universo" (...Universo Metal, ovviamente!), nè sentire un sound monolitico che è cambiato pochissimo in tutta la loro carriera, questo disco potrebbe addirittura piacervi un sacco. Sappiate che ci sono i lati positivi nella band, che le facili ironie mettono in ombra: la tecnica di Joe De Maio, oscurata in parte dalla scelta di usare un distorsore/compressore sul proprio basso, la voce incredibile di Eric Adams, che non ammette critiche, e lo spessore compositivo del grande Ross "The Boss" (qui al meglio della forma), che fa onestamente e pacchianamente il proprio lavoro. La produzione, quella no, non è granchè, magari è volutamente così. Non ho altro da aggiungere, scusate per la lunghezza...
"To fight and die by the open sky..."
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