Qualcuno mi disse che se i Maps And Atlases avessero fatto uscire quest’album una manciata d’anni fa ora sarebbero gli U2 della musica indipendente. Credo sia un po’ una cagata e si meritino un paragone meno indecente…chessò i Pink Floyd dell’indipendente. Le cose nell’universo musicale hanno preso e tutt’ora prendono un’altra piega. I circuiti di fruizione dell’indie-concept sono cambiati o stanno svanendo così come i gusti, i quali hanno subito una vistosa sbandata verso l’elettronica. Ecco spiegato perché i Maps And Atlases sono e resteranno in una nicchia, quella dei bravi e basta, dei belli ma non troppo.


Poco importa che oggi questo sound non risulti “nuovo”, facile ingannarsi, eppure riesco a sentire qualcosa dentro, convincendomi di ciò che ho di fronte o che vedo o sento, riuscendo a riconoscerne ancora la grandezza, l’unicità.
Qual è allora la musica che decidiamo accompagnerà i nostri respiri, lo schiudersi delle ciglia, le nuvole cariche di pioggia che ci sorvolano? Sul trono d’egoismo esistenziale c’è una sola impalpabilità a salvarci, nei momenti semplici in cui vogliamo far finta di gustare il controllo della vita che fugge via non c’è scampo. C’accampiamo nell’unico elemento che s’impadronisce dei nostri sensi, avvolgendoci in un morbido guscio, ci fa sentire speciali perché lo siamo, ricorda che sappiamo apprezzare i nostri impulsi, ha il sapore d’un sorriso, la tinta d’una lacrima. E’ la nostra debolezza a pararcisi davanti; l’ascoltiamo, sfidandola a testa alta, finalmente ad armi pari. Non siamo felici quando ascoltiamo qualcosa che amiamo, è riduttivo, siamo onnipotenti. Mettiamo a nudo il cuore, l’imperscrutabilità dell’inconscio, le nostre chimere. Siamo noi a far viaggiare questi elementi nell’aria, percependone le frequenze. Noi troppo forti per essere deboli, troppo ingannati dal tempo per guardarci dentro, così profondi da non ammettere che siamo cenere. Non vi saranno applausi a redimerci, né sorrisi a farci gioire, né esisterà tristezza, non ci saremo per immaginare quanto siano fantastiche le occasioni d’ogni giorno perse; non potremo renderci conto d’essere insulsi. Lo farà la musica. Lei al nostro posto. E se mi concentro vedo tutte le occasioni che mi sto creando, osservo la mia persona crescere, guardo il mio sorriso allargarsi, i miei occhi curiosi scrutare quelli del prossimo. Vedo tutto e non so cosa voglia dire, ma è troppo meraviglioso per permettermi d’imporre questioni. Non riesco nemmeno ad essere patetico, questa nostra compagna: la musica, non è descrivibile mi spiace. Tocca arrendersi all’evidenza, non si può essere imparziali, ho perso in partenza. Le volte in cui amiamo sono allora le volte in cui tutto intorno a noi crolla?


Penso a quanto siamo fortunati a non svegliarci una mattina senza la possibilità di sentire o di non vedere più nulla. Avremmo solamente la vista per ascoltare melodie, solo l’udito per dipingere il mondo. Ogni istante abbiamo invece tutto il mondo per sentire ciò che abbiamo a cuore, per vedere chi abbiamo caro. Quando sento band come I Maps And Atlases la scrittura diviene impedimento, non serve nessuna svilente autocommiserazione.
Forse il mio cervello produce più dopamina del normale quando ascolto musica, probabilmente sono un genio del calibro di Mozart o Einstein con la predisposizione all’ascolto musicale, ma anche no. Sono solo un ragazzino 22enne munito d’occhi color cacao troppo vanesio per capire che la musica non distrugge, né tortura, né fa rinascere o svezza o salva. Ma ho la testardaggine di crederlo finchè roteo gli occhi e ho la possibilità di sentire frequenze che fra qualche anno saranno indistinguibili.
Saranno le foglie degli alberi ingiallite a rendermi poetico, prometto non succederà più, non fino al prossimo disco di Lady Gaga almeno.

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