A piccoli ma inesorabili passi l'autunno sta raggiungendo il suo pieno splendore; temperature più basse, luce soffusa e giornate più corte, sugli alberi già si vedono foglie ingiallite, presto destinate a cadere. Sarà una delle mie tante stranezze, ma ho sempre avuto un'affinità particolare con questo periodo dell'anno; il freddo non mi dà alcun fastidio, ci sono l'uva e le castagne, i colori e le atmosfere di una stagione di transizione, di decadenza ma soprattutto di cambiamento. L'autunno è la stagione perfetta per apprezzare pienamente un album come questo, molto più dell'algido e immobile inverno secondo me, perchè si chiamerà pure "Heart On Snow" ma trabocca di passione, è una foresta infiammata di foglie gialle e aracioni più che una bianca e silenziosa coltre di neve.

Per Marc Almond questo disco ha segnato una rinascita e l'apertura di prospettive musicali completamente nuove, un paio d'anni prima se n'era uscito con "Stranger Things", un album povero di idee, fiacco e involuto, che per qualsiasi altro artista meno eclettico e visionario sarebbe stato un definitivo requiem, ma Marc capì perfettamente che per andare avanti occorreva un cambiamento repentino, e così nacque "Heart On Snow". Come nel caso del suo opposto polare "Tropical Brainstorm" di Kirsty MacColl anche questo è un disco che nasce da una profonda conoscenza ed immedesimazione culturale, Marc Almond trascorre lughi periodi della sua vita a Mosca, conosce la musica, lo stile, la cultura di quel paese così complesso, ricco di fascino e di contrasti; si tratta di una peculiarità importantissima che rende perfettamente credibile, intenso ed emozionante quest'album ambizioso e monumentale, forse un po' troppo monumentale come spiegherò in seguito.

"Heart On Snow" alterna cover ed episodi di produzione propria ma, a riprova di quanto affermato in precedenza, per un non conoscitore della tradizione folk russa è praticamente impossibile notare la differenza, l'elemento caratterizzante dal punto di vista stilistico è sicuramente la varietà e le molteplici sfumature del sound; momenti intensi e passionali, altri più sfumati e rarefatti, melodie imponenti ed iconiche alternate ad improvvisazioni crooneristiche e torch songs belle ed intense da mozzare il fiato. La voce non ha certo bisogno di presentazioni, e in questo contesto si muove con la stessa naturalezza e regalità di un'aquila in volo; dolente e solenne, accompagnata da cori baritonali e statuari nell'emblematica "So Long The Path (So Wide The Field)", struggente, amaramente dolce nella poesia tragica ma suffusa e delicata di "Gosudaryunia", confidenziale e carismatica, con la solita immensa classe da chansonnier nato nell'acustica "Two Guitars". Un album carico di malinconia poetica ed elegante, sempre dosata con lo stile più impeccabile, mai inutile e fine a sè stessa, e questo si traduce in tanti, tanti brividi, quelli della breve ed intensa serenata "Nuit De Noel", brividi di sehnsucht in una ballata d'amore d'altri tempi come "Romance", brividi dolenti in "The Storks", poetica elegia orchestrale.

Episodi come "Oh, My Soul" e "Luna", duetti con cantanti russe accompagnati da un pianoforte brillante e sornione aggiungono un piglio di eleganza crooneristica, aiutando a stemperare un'atmosfera altimenti un po' troppo "carica", come anche i ritmi incalzanti, maestosi e senza sempo dell'iconica titletrack "Heart On Snow", e dopotutto l'equilibrio è una delle componenti fondamentali che fanno grande quest'album. Alcuni potrebbero pensare a qualcosa di pomposo e iperarrangiato, ma HOS non lo è affatto, se suona così regale e maestoso è solamente per la bellezza delle melodie, il carisma di Marc Almond e soprattutto perchè ogni cosa sta al posto giusto; il ricorso ad elementi orchestrali è parsimonioso, limitato ad episodi specifici, generalmente prevalgono il piano, la balalaika ed altri strumenti acustici a corda, sintetizzatori di contorno. L'esempio più alto di questo sublime gusto stilistico è "Strange Feeling", una delle canzoni più potenti che mi sia mai capitato di ascoltare, sicuramente uno dei punti più alti della lunga carriera dell'artista inglese; un vortice travolgente di spleen e sensualità, che colpisce con una forza evocativa ed immaginifica veramente unica, di una perfezione assoluta.

Purtroppo "Heart On Snow" è anche un capolavoro mancato di proporzioni clamorose o, per meglio dire, un capolavoro pienamente raggiunto e poi annacquato nel tentativo di superarlo: considerando le prime unidici canzoni sarebbe sicuramente uno dei miei dischi della vita, una meraviglia da 10 pieno, però di canzoni ce ne sono ben diciotto e dalla dodicesima traccia in poi l'intensità cala, il discorso musicale smette di evolversi e si percepisce un evidente ristagno, anche se mitigato da ottimi guizzi come l'elegante ed ovattata "White Flowers Of Acacia" e "Sleeping Beauty", decadente e crepuscolare. Purtroppo questa tendenza alla prolissità è un difetto cronico di Marc Almond dal '96 in avanti, che ho avuto modo di notare anche in album come "Varietè", "Orpheus In Exile" e "Stardom Road", qui si manifesta in una forma particolarmente acuta e purtroppo mi costringe a ridimensionare la mia valutazione complessiva dell'opera: sono quattro stelle ma con grande rammarico, potevano, anzi, dovevano essere cinque.     

Carico i commenti...  con calma