Ma guarda un po' chi si rivede; in gran forma e sempre propositivo, Marc Almond pubblica il suo n.esimo album (sfido chiunque ad indicarmi il numero esatto), ed anche stavolta non delude. Dopo il bruttino "Stanger Things" del 2001 Marc non ne ha più sbagliata una, si è costruito una nuova giovinezza, facendo valere la sua classe cristallina ed il suo stile inconfondibile ma senza paura di sperimentare nuove idee e soluzioni non proprio convenzionali, e "The Dancing Marquis" continua alla grande questo circolo virtuoso. Questa volta Marc Almond non si inventa nulla di "particolare". ma riesce comunque a convincere e anche a stupire con un disco per certi versi in controtendenza rispetto la sua produzione più recente: otto canzoni in tracklist, questa è la differenza più evidente considerato che molti dei suoi album dal '96 in poi viaggiano su una media di 15/16 tracce, non sempre un bene, penso soprattutto a "Heart On Snow", che sarebbe stato assolutamente sublime con un po' di prolissità in meno. La caratteristica fondamentale di "The Dancing Marquis" è senza dubbio quella di essere un ascolto divertente e scorrevole, un album di grande energia e levità, con ogni probabilità l'episodio più leggero di tutta la discografia dell'artista inglese.

Stilisticamente si registra una presenza non massiccia ma comunque importante della chitarra elettrica e di sonorità glam rock e più in generale un sound molto diretto, sobrio e lineare per gli standard a cui il Nostro ci aveva abituati, pur senza rinunciare alla ricchezza e all'impatto scenico che da sempre costituiscono la marcia in più di questo grande artista. Songwriting efficace ed ispirato, soprattutto in due canzoni che per quanto mi riguarda sono già degli instant classic: "Tasmanian Tiger" con la sua tambureggiante e coinvolgente progressione melodica ed un testo genialmente autoironico in cui un'po mi rispecchio e "Death Of A Dandy", ballad mozzafiato di stampo molto british impreziosita da eleganti fraseggi di chitarra a'la Brian May, una di quelle canzoni che riescono ad essere malinconiche ma al tempo stesso meravigliosamente luminose e cariche di emotività. "Worship Me Now", con le sue pulsanti sonorità elettroniche/danzerecce (che ricordano molto alcuni episodi di "Fantastic Star") va in controtendenza con il resto dell'album ma come mood, approccio ed energia ci sta dentro perfettamente ed è un altro episodio di grande impatto, che non manca nemmeno a "Love Is Not On Trial", ballata dolce ed intensa che riporta alle atmosfere retrò di "Varietè", "The Dancing Marquis", che apre le danze con un vivace ed orecchiabilissimo glam rock orchestrato, "Burn Bright", forte di un bel crescendo melodico accompagnato da archi e controcanti femminili e "Idiot Dancing" con il suo rock semiacustico dal ritmo incisivo ed accattivante.

"The Dancing Marquis" aggiunge qualcosa di completamente inedito al repertorio di Marc Almond? No, ma rimane comunque un bel disco, assai godibile, a cui l'unico appunto che mi sento di rivolgere è la presenza di due relativamente inutili remix di "Worship Me Now" in coda alla tracklist. Se qualcuno volesse conoscere questo artista partendo da qualcosa di semplice, immediato ed accessibile "The Dancing Marquis" è la soluzione perfetta, e per chi già lo conosce approfonditamente rimane comunque un gran bel sentire; meglio il "mestiere" di Marc Almond che la "genialità" o presunta tale di tanti sopravvalutati che oggi godono di ampia fama e visibilità. "The Dancing Marquis" è un ottimo esempio di prodotto di qualità di un artista invecchiato benissimo, che nonostante una carriera pluridecennale alle spalle è ancora una "creatura brillante", senza tempo ed irreplicabile.

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