Non è passato neanche un anno da quando vi raccontai "The Dancing Marquis" (ormai sono diventato il vostro corrispondente ufficiale dal pianeta Almond, ah, cosa fareste senza di me?), ed eccomi ancora qui, puntuale come un orologio svizzero. L'album del 2014, con quelle sole otto canzoni, mi destò qualche "sospetto" anche all'epoca, dato che Marc è solito abbondare; come volevasi dimostrare, dopo il (gustoso) antipasto, ecco a voi la portata principale, "The Velvet Trail". Sensazioni? Tante, più una singola, rassicuramente certezza. Questo album può piacere o non piacere, per alcuni sarà solo semplice mestiere, altri "rimpiangeranno" l'intensità dei suoi classici, ma ascoltandolo si capisce una cosa importantissima: Marc Almond non è rimasto vittima di sè stesso, e questo non è da tutti. Cambia, si "ammorbidisce", viene a patti con gli anni che passano, e lo fa con la solita classe.

Dunque, "The Dancing Marquis" e ora "The Velvet Trail"; con Marc non si può mai dire, ma pare proprio che la fase degli album a tema, "Heart On Snow", "Stardom Road", "Orpheus In Exile", "varietè" e "Feasting With Panthers", sia ormai archiviata. Peccato, ma come ho già detto, c'est la vie. Comunque fa veramente piacere sentire tutta questa brillantezza; non posso leggere nella sua mente, ma quello che percepisco qui dentro è un uomo sereno, maturo, consapevole, che ancora si diverte a fare musica... felice. Forse sarà solo un mio vaneggiamento, ma io la vedo così: un grandissimo attore/interprete come Marc Almond può portare il scena l'angst, la drammaticità e lo fa divinamente; in album come "Orpheus...", "Varietè" e FWP ha interpretato dei personaggi e raccontato delle storie; ma questa leggerezza, questo slancio sereno e positivo lo vedo molto più difficile da simulare, e dopotutto qui parla di sè in prima persona.

Musicalmente che dire? Una buona prova, senza dubbio: parte con un'intro sinfonica, poi quattro canzoni, altra intro o intermezzo e altre quattro canzoni, ripete lo stesso schema una terza volta e chiude con un'outro. Una trovata carina e intelligente, che dà all'album un suo "ritmo" particolare, dividendolo in tre parti simili ma con caratteristiche proprie. In generale, "The Velvet Trail" propone un pop leggero, accessibile e ben confezionato, chi non conosce nulla o quasi di Marc Almond potrebbe apprezzarlo e goderselo molto più di un cultore di vecchia data; io sono una via di mezzo, un cultore giovane, e per me funziona così: capisco perfettamente il divario con un "The Stars We Are" o con l'ancora fresco "Feasting With Panthers", però riesco ad inquadrarlo in un'ottica positiva. "The Velvet Trail" non cerca assolutamente di inseguire i fasti del passato, non è uno "Stranger Things" stanco e involuto ma un album onesto, piacevole e con una personalità ben definita.

Chiunque capirebbe che quelle di quest'album non sono canzoni infilate a caso, tutto è perfettamente calibrato per creare un sound si ricercato ma anche snello e semplice; esattamente come nel suo predecessore, ma TDM era più frizzante, e orientato al glam rock, in "The Velvet Trail" prevalgono tonalità più confidenziali e un equilibrio praticamente perfetto tra episodi lenti e vivaci. La progressione melodica di una struggente "Scar", la dolcissima malinconia di "The Pain Of Never" e "Winter Sun" con la sua poetica crepuscolare sono gli esempi migliori di questo Marc Almond chansonnier maturo e addolcito annata 2015: qui è il piano a dominare la scena, ad accompagnare la voce inconfondibile dell'artista; tutto il resto (principalmente sintetizzatori e archi) è semplice contorno, accompagnamento. La titletrack invece è un altro discorso: qui Marc si affida totalmente all'elettronica, e dà vita a una ballad delicatissima, sognante, dilatata; una chiusura veramente perfetta, dà veramente l'idea di un sentiero di morbidissimo velluto celeste che sale in alto, fino alle stelle.

"From London to Moscow, Morocco to Mars, in bars or bordellos, wherever you are, down dark alleyways in luxurious cars, from casbahs to cabarets, wherever you are, with dragon boys and geisha girls, in twilight zones or secret worlds searching for pleasure, for you": allegro e istrionico, con un lieve sentore di autoironia, il Marc Almond di "The Velvet Trail" è anche questo, e "Pleasure's Wherever You Are" è bellissima: un piano-pop luminoso e trascinante, con una melodia evergreen, mi ricorda un po' "Meet Me In My Dream" ma il mood è più confidenziale e spigliato, più efficace secondo me. "Bad To Me" apre le danze con piglio vivace e ballabile, un'evoluzione delle sonorità di "The Dancing Marquis" con un gusto più raffinato negli arrangiamenti; tanta voglia di leggerezza, una vena pop che pulsa florida nei gloriosi ricordi di gioventù di "Zipped Black Leather Jacket", nell'eccentrica e brillante fantasia elettro-orchestrale di "Minotaur" e nella vitalità disimpegnata e quasi giocosa di "Demon Lover". C'è anche "When The Comet Comes": leggere accanto al titolo "feat. Beth Ditto" mi ha fatto sudare freddo, non lo nego, ma, sorpresa sorpresa, l'illustre (illustre!?) ospite si dà un certo contegno e riesce a non fare danni; una discreta partner per un pezzo molto frizzante e orecchiabile; l'obbiettivo era aggiungere un po' di soul flavour alla canzone e una cantante nera sul serio (suggerisco anche un nome, Billie Myers) l'avrebbe sicuramente fatto meglio, ma agli eroi si perdona tutto.

"I'm a shapeshifting changeling, stop trying to assimilate me", alla fine è Marc stesso a fornire la chiave di lettura per capire e apprezzare pienamente questo disco; non che suddetto cambiamento sia radicale e spiazzante, anzi, le "reminescenze" di questo o quell'altro momento della sua carriera sono praticamente onnipresenti, ma il tutto è confezionato talmente bene e con stile che quasi non ci si fa neanche caso. A volte raffinato crooner, altre brillante istrione pop/glam, questo Marc Almond è un artista che ha trovato un suo equilibrio ideale: per lui la modernità non è un'ossessione, non ha nessun bisogno di stare al passo coi tempi ma è ancora capace di rinnovarsi, il passato si rigenera ma senza mai replicarsi sterilmente. E' invecchiato benissimo il mio Marc, penso a un sacco di gente che al secondo album è già muffa e avvizzita, lui dopo così tanti anni di carriera ai massimi livelli tiene ancora botta, continua per la sua strada. E questo, signori miei, vuol dire essere grandi per davvero.

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