In quell'anno, il 1993, si spegneva il grande Frantz Casseus. Era nato nel 1915 a Port-Au-Prince, ma la maggior parte dei suoi anni l'aveva trascorsa negli Stati Uniti: per la storia, Egli è padre e Maestro riconosciuto della chitarra classica haitiana. Chitarra che aveva iniziato a suonare in patria, giovanissimo, qua e là per i piccoli club della capitale, prima di trasferirsi a New York e diventare qualcosa di più di un semplice e nostalgico esecutore del repertorio tradizionale del proprio Paese d'origine; tanti decenni prima che in musica si iniziasse a parlare di "Fusion" e "contaminazioni" varie, Casseus stava delineando - in maniera del tutto autonoma - un singolare ibrido di sonorità haitiane, tradizione euro-colta d'ascendenza europea e tecnica esecutiva jazzistica (da questo punto di vista, la sua eredità artistica può considerarsi affine a quella di un Bela Bartòk). Ma c'era anche un risvolto genuinamente patriottico-nazionalista, nella musica di Casseus, che l'ascoltatore moderno ha il dovere di non sottovalutare: dal 1915 al 1934 Haiti aveva subito l'occupazione militare dell'esercito statunitense, di fatto restando un protettorato americano per un ventennio; per un haitiano, suonare la musica della propria terra nella terra dell'invasore straniero non poteva non avere un significato particolare: dalle note della chitarra di Casseus, più che mai, trasparivano la fierezza e l'orgoglio di chi ha dietro di sé un secolare universo di cultura e sentimenti ed è deciso a mantenerlo vivo e presente. La sua era una tristezza sdegnosa, altera, non dimessa né incline al melodrammatico. Da una nota intervista del 1989: "Molti hanno detto che la mia musica è espressione dello spirito nazionalista haitiano. Io ritengo sia dovere di un artista far rivivere nei propri suoni - con rigoroso spirito filologico ma anche con sensibilità estetica - l'anima della propria terra natia". Ed è difficile non ritenere sincere queste parole: si ascolti il repertorio di Casseus (oggi reperibile su diverse raccolte), dai gioiosi merengue da ballo alle spettrali e inquietanti nenie chitarristiche eseguite con tecnica sopraffina, e si ascolterà il portato artistico di una nazione intera.
In quell'anno, il 1993, uno dei chitarristi più intuitivi e geniali della propria generazione decide di rendere omaggio al Maestro. Aveva 11 anni, Marc Ribot, nel 1965, e aveva per la prima volta imbracciato una chitarra, come tanti altri giovanissimi del New Jersey, stregato dal Rock'n'Roll e dagli Stones; Frantz Casseus era un cinquantenne insegnante di chitarra. Il loro fu un incontro casuale, eppure decisivo per la formazione del futuro chitarrista dei Lounge Lizards. Curioso, si direbbe, sapere che proprio uno dei massimi esponenti della No-Wave newyorkese ebbe il suo primo approccio con lo strumento alla corte di un musicista classico, rivoluzionario quanto si vuole, nel suo genere, ma pur sempre collocabile entro una tradizione distante anni luce dalle nuove sonorità dei Sixties. "In effetti", racconta Ribot, "non sembravano esserci i presupposti perché quell'uomo influisse tanto sulla mia formazione di strumentista. Ci incontravamo ogni domenica all'una, quasi fosse un rituale, nel suo appartamento che odorava di caffè e sigarette. Frantz trascorreva in solitudine la maggior parte del tempo, componendo e trascrivendo musica con insaziabile voracità; la sua dedizione al lavoro era totale, e nondimeno la sua indole paziente, riflessiva, estremamente posata".
Alla fine dei '60 le strade dei due si erano separate: Ribot era andato a suonare Rock in diverse formazioni, Casseus (dopo la pubblicazione di capolavori come "Haitianesques" e "Haitiana") aveva sensibilmente rallentato la propria produzione, anche a causa di una tremenda tendinite alla mano sinistra che nel giro di pochi anni ne avrebbe limitato la padronanza strumentale. Sporadici gli incontri nei decenni successivi, quando Ribot sarà ormai un grande della scena internazionale, inanellando una serie di collaborazioni prestigiose con mostri del calibro di Arto Lindsay, Tom Waits, Stan Ridgway e soprattutto John Zorn. Tanti i riconoscimenti ufficiali per Casseus, a ripagare in parte una carriera a lungo portata avanti nell'ombra. E, dopo la morte, l'uscita di questo eccellente album-tributo registrato dal suo allievo più noto: una raccolta di composizioni di Frantz incise a cavallo fra il 1989 e il 1993, a conferma di come l'attenzione per le sonorità "classiche" fosse rimasta, negli anni, un punto costante nell'intelligente e vario percorso di ricerca di Ribot (etnomusicologo come pochi, fra i chitarristi del suo tempo). Sono diciannove composizioni eseguite dall'alto di una tecnica impeccabile, cristallina, con rigoroso rispetto delle partiture originali ma anche in piena conformità allo spirito, ai diversi umori di cui ciascun brano è pervaso. La solitudine dello studio ci restituisce l'arte del Maestro haitiano nella sua massima essenza e purezza, senza fronzoli né inutili dettagli di contorno: note distillate con sapienza e serietà, per un disco che sa incantare; soprattutto se ci limitiamo agli ultimi anni: non avendo più un John Fahey o un Robbie Basho, né (sono ancora affranto per questo) il recentemente scomparso Bert Jansch, la grande chitarra classica - quella, per intenderci, figlia di studio e ricerca interculturali - è sempre più destinata a diventare merce rara per palati raffinati.
Un disco immenso, unico nella discografia di Marc e anche per questo da riscoprire. Cinque stelle storiche e indiscutibili.
Carico i commenti... con calma