Quando nessuno lo voleva più e nemmeno debellare il carbonchio lo avrebbe riqualificato al cospetto di quel brusio che, sfigato che porta sfiga fila via, Celentano lo incalzò. Con quel suo modo di fare da bambino rincoglionito, gli chiese di non smettere, perché Masini, esasperato, voleva smettere. Basta, mi sono rotto il cazzo. Non voglio fare, testuali parole, la fine di Mia Martini.

All’inizio fu un sussurro, un risolino striminzito. Iniziarono gli 883, 6/1/sfigato urlavano Pezzali e Repetto dai campionatori di Cecchetto. Ma lui vendeva milioni di dischi e aveva legioni di fans adoranti, con due club all’attivo, e giustamente se ne fotteva. Supportato da due mostri sacri, Giancarlo Bigazzi e Beppe Dati, coadiuvato da musicisti di prim’ordine, scelse di cantare il disagio ai disagiati, e chi vi scrive aivoja.

Cantò di droga, amori finiti male, solitudine, abusi, stupri, aborti, puttane, comunità, fede. Ci mise sentimento, parolacce, melodia, un’immagine pulita. La persona era buona, tutto sommato rassicurante, genuina.

Poi iniziarono a dire che portava sfiga, negatività, che era presenza non gradita. Da goccia divenne oceano, poi lava, poi levati che c'è Masini. E lui ne fece malattia.

Marco Masini non ha mai fatto del male a nessuno. La vita lo ha indurito. La mamma, ammalatasi di cancro quando lui era adolescente, morta dopo un calvario durato qualche anno. La gavetta, forse troppo lunga, fatta da turnista, da musicista certamente più dotato di tanti colleghi già arrivati. Leggendolo, viene fuori il ritratto di una persona che si è rialzata più volte di Balboa. Il male che si è fatto, se l’è fatto da solo. Infastidiva perché era vero. Stava al passo con i tempi con ingenuità. Nel 1998 saturo della continuità dei primi quattro album, pur continuando a maturare consenso diede una svolta e uscì con ‘Scimmie’. Rivoluzionò musica testi e produzioni. Vendette 50000 copie. Da lì, non ne imbroccò più una, eccezion fatta per la vittoria a Sanremo 2004 con “L’uomo volante”.

Ritrovò se stesso nel 2017 quando si plasmò ad un pool di giovani produttori che lo introdussero al nuovo, sia in termini di approccio al microfono che alle macchine, riportandolo a Sanremo con “Spostato di un secondo”.

Questa autobiografia mi ha arricchito. L’uomo è profondamente cambiato, plasmato. Lo ricordavo sbarazzino, un ragazzone stralunato per quanto pieno di soldi e problemi. Ora è posato, integro, profondo. Non è più incazzato, i vaffanculo non li rinnega ma sono debitamente derubricati al cantante che fu. E che non è più.

Quattro anni fa l’ho visto dal vivo. Il gruppo è pazzesco, lui a dispetto dei quasi sessant’anni, vivo, coriaceo, disperato che fu.

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