Le premesse sono d’obbligo. Non ho intenzione di aprire dispute su Masini cantante, uomo, artista ecc... Lo sappiamo tutti che i gusti son gusti (io stesso presento schizofrenie sull’argomento), quindi spero gli eventuali commenti si concentrino sull’opera analizzata.
Vorrei parlare di “Scimmie”, album del 1998 che riscosse consensi minimi da parte di quei fan legati alle rime baciate. Un ottimo motivo per ascoltarlo dunque.
Masini voleva dare un forte segnale di cambiamento, così si presentò con barba e capelli completamente bianchi. Per fortuna non si ridusse tutto al look.
Le prime tre tracce hanno un’impronta rock non indifferente, addirittura “Falso” ricalca il riff di basso di “I Can Dream” degli Skunk Anansie; direi che lo arricchisce con l’apporto delle chitarre. Le citazioni di Allen Ginsberg, i testi che strizzano l’occhio al “cut-up” e le distorsioni sembrano presentarci un musicista completamente diverso da quello che conoscevamo.
Il problema è che escludendo la tamarra “Togliti la voglia”, che trovo comunque divertente, e parte di “Ali di cera”, l’altra metà dell’album contiene semplici canzoni di musica leggera. Per alcuni aspetti superiori ai lavori precedenti, ma deludenti per chi come me sperava di poter aggiungere un’altra perla rock italiana alle altre del ’98. Come per esempio “Che fine ha fatto Lazlotòz” e “La terra, la guerra, una questione privata”. Sarebbe stato davvero un insolito compagno.
C’è da dire che anche i pezzi rock risentono del retaggio cantautoriale, soprattutto a livello di volumi la voce la fa sempre da padrone, lasciando batterie e bassi troppo in disparte.
Senza dubbi è il miglior lavoro mai fatto da Masini, godibile per chi ama la musica leggera. Per me è un’occasione persa per il patrimonio rock nostrano.
Sarà stato un mero esperimento commerciale finito male?
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