Nonostante la scena italiana abbia ben poco da offrire nel suo panorama visibile è anche vero, che con un pò di volontà, è possibile far uscire fuori dal loro semi anonimato artisti che meritano davvero rispetto come creatori di qualcosa di spontaneo e particolare.
Tra questi io personalmente colloco Marco Parente e il suo TrasParente, terzo album di una discografia essenziale e piena di passione, intimismi, sentimenti puri e piena onestà intellettuale. Le origini partenopee di Parente sembrano quasi eclissarsi di fronte e dentro la sua musica, lasciando che le melodie vengano approcciate da influenze ben più “nordiche”, che si estendono in campi di chitarre, e dolci e minimali parti di pianoforte disegnate tra le nuvole di un paesaggio tendenzialmente simil-britannico.

 Marco Parente è in piedi di fronte a noi, con le le braccia tese e le mani aperte. Vuole trasparenza e ci dona la sua musica con i suoi pensieri diretti e dannatamente profondi. Nella loro umile semplicità. Sembra stigmatizzare ed elogiare il suo mondo, con una carica ottimistica che sprofonda in atmosfere piene di malinconia e disperazione. Cerca risposte dentro se stesso e dentro la sua vita, ma esplorando le coscienze di tutti e di tutto ciò che lo circonda. Ed eccolo improvvisamente aprire la mente (“no non cambia il mondo, se non cambia il mio”) o rivolgesi ad oggetti, o a uomini-oggetto, come per avvertirli dell’ombra maligna che li segue e perseguita (“armi di tutto il mondo, fermatevi a pensare. Se la bellezza è un coltello scolpisce la violenza che hai in mano”). Sentire pezzi come Farfalla Pensante, ad alto volume, nella propria stanza è come intraprendere un viaggio nei pensieri di Parente. La sua musica dannatamente matura spazia da minimalismi essenziali a complesse orchestrazioni, da imperfezioni elettroniche a ipnotici tappeti di piano wurlitzer. La voce, a volte sospirata e a volte sostenuta e impostata, accompagna le liriche che infiocchettano ed avvolgono perfettamente le melodie. Ma Marco Parente è anche altro: è un progetto ambizioso e a mio parere ancora molto confuso. Quello delle “open songs”, cioè, come spiega nel suo sito:“Rendere libere le sorgenti di un brano, i tasselli presenti o non utilizzati nel missaggio finale di un pezzo. Liberi di essere manipolati e ricontestualizzati”. Davvero molto interessante, anche se tutto sembra ancora essere avvolto da una nebbia misteriosa che non aiuta di certo ad abbracciare appieno l’iniziativa.

In conclusione, ritornando a TrasParante, è consigliabile a chi ha voglia di scoprire qualcosa di realmente valido nel panorama italiano. Tutto il disco è avvolto da un fascino irresistibile, che dall’Inghilterra ci riporta dolcemente alla nostra terra. Un piccolo gioiello che un italiano dovrebbe tenere orgogliosamente nella sua collezione. Non è un sogno, è la Rivoluzione di Marco Parente: quella a colpi di grazie.

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