No, questa volta sulla copertina non c'è lei. Al suo posto vi è una vecchia foto dei primi anni del '900, quasi sbiadita, grigio verde come il colore della memoria, e vede un gruppo di persone vestite in modo elegante (la foto non occupa solo la copertina, ma anche tutto il retro del libretto del CD, con altre figure più eccentriche, forse per una festa di carnevale o per uno spettacolo circense). Eppure Maria è presente (eccome!), ma sul retro dell'album. La foto che la ritrae sembra esprimere quella stanchezza da esaurimento e insieme sollievo tipici dello sforzo necessario alle donne per partorire. Capelli all'indietro, quasi madidi di sudore, pochissimo trucco, camicia grigia sbottonata, l'ombra che la copre per metà.
Sì, questa volta Maria ha partorito il suo disco più sofferto, difficile, gridato, strillato. Rock grezzo, urlato da una voce potente, sormontata e cullata da chitarre "crushing" (traduzione più vicina "che schiacciano, annientano, spiacciacano"), volutamente distorte. Joni Mitchell che incontra Kurt Cobain che va a braccetto con Iggy Pop che imita David Bowie (o meglio Ziggy). Grunge e cantautorato. Dark, teso, (iper)drammatico, tragico, masochista, sadico, disperato e terrificante (qui non si tratta più del pop di "Show Me Heaven" o del country/rock dei primi due album, bisogna stare attenti, con questo album le persone le puoi pure spaventare!). Penetra nel subconscio, si insinua nelle tue membra, fluisce inesorabilmente verso il cervello, da cui si sparge incessantemente in ogni millimetro del tuo corpo.
1996: la svolta. "Life Is Sweet" è l'ultimo album di Maria per la Geffen (che dopo di ciò ha perso la pazienza e l'ha licenziata), ma il primo che la fa emergere seriamente come un'artista vera e propria. Tastiere, chitarre (da Maria stessa dis-suonate), batteria e basso: il tutto intrecciato da roboanti arrangiamenti d'archi che fanno ancora di più risaltare la grandiosa drammaticità del disco. Il country è sparito, il soul è rientrato nell'anima ed è riuscito sotto forma di rock puro, e il pop è rimasto nei vecchi archivi delle Geffen.
Non bisogna scherzare con il fuoco, perché l'incendio è sempre imminente, cova latente nei meandri della psiche; ma quando esplode non c'è trippa per gatti. Questo ho pensato appena ho ascoltato per la prima volta il disco; non è stato il suo primo CD che ho acquistato (l'ho trovato per pura fortuna, forse l'unico presente in tutti i negozi di Roma, perché fuori pubblicazione), è stato come un pugno in uno stomaco, ma ha segnato il primo passo verso la follia, l'ossessione e la perversione verso questa artista. Non avevo mai provato niente del genere, neanche verso quelli che sono oggi i miei miti (Joni Mitchell, Tori Amos, Joan Baez e altri). Non so, ma quando questo disco mi ha trascinato fino al fondo dell'umanità intera fragile, indifesa e terrorizzata di fronte alla natura arcana che si rivela (una sorta della teoria del "sublime"), ho ripreso in mano la copertina e ho cercato di trovare un qualche appiglio con il disco, Maria ci doveva pur dire qualche cosa! La prima immagine che mi è venuta in mente è che sotto la panca su cui quelle figure si sono messe in posa c'è una bomba (ovvero il disco), e quella foto li voleva ritrarre poco prima della morte, poco prima della fine della loro esistenza quando potranno finalmente dire con certezza: "Sì, la vita è stata dolce". Forse sto un po' vaneggiando, ma credo di essere malato e la malattia si chiama "Life Is Sweet" e il ceppo da cui proviene si chiama Maria McKee. È questo disco è questo disco è questo disco è questo disco è questo disco è questo disco è questo disco... È meglio tornare in sé: devo ancora parlare dei testi delle canzoni, più cose si conoscono meglio è, forse qualcuno potrà trovarmi una cura efficace. Devo rimanere lucido... Rabbia, resistenza, sfida, condanna, fragilità, schizofrenia, ribellione, ipocrisia (e altro) sono i temi maggiormente presenti.
L'album si apre con 4 canzoni epiche, di puro art-rock: una dichiarazione d'amore per le cicatrici ("Scarlover" - "Cadi al di là del mio corpo come un sudario di morte/ Le tue ferite erano vistose come le mie, nessuna estremità logora ben definita/.../ Il ripugnante che c'è dentro di me mi ha insegnato la bellezza"), l'ossessione di "This Perfect Skin" ("Persi mentre giriamo vorticosamente, ti ho visto in questo vestito perfetto, pelle della nostra pelle/ le nostre mani intrecciate, la seta è il nostro respiro/ lo indosso per te questo vestito perfetto/ Questa stanza perfetta, questa piccola morte, una nascita senza utero"), il tema del doppio in "Absolutely Barking Stars", incommensurabilmente potente ("Ho cercato di intrappolarla nelle mia testa ma lei sa da dove entra la luce/ .../ Sono la sua gemella vivo sull'altra metà/ Tento di squarciare la cucitura ma non si strappa"), la ribellione furiosa di "I'm Not Listening" che si conclude con una coda di violini mezzi distorti che accompagnano supportando urla strazianti ("Non sto ascoltando, non sto ascoltando, non sto ascoltando più/ mi hai chiuso la bocca con un filo, ora la mia testa è piena di bugie/.../ Se sono una fenice, se sono un demone o un saggio o un falso/ o se sono vigliacca lascimi stare sola/ Una volta mi hai quasi ucciso").
E poi la seconda parte si fa più sommessa (per modo di dire) e confessionale, ma è solo la quiete prima della tempesta: vi è l'autodistruzione ("Odio quella che sono/ .../ Qualche volta vorrei che non fossi mai nata/ è davvero una terribile scusa per respirare" in "What Else You Wanna Know"), la sudditanza morbosa verso un amante semi-dio ("Sono sola ora con le mie costrizioni/ Disperata e prosciugata da tutta quella collera/ E sono niente senza un cuore riempito completamente fino al limite di scoppiare/ con la morte al suo risveglio" in "Human") e finalmente la presa di coscienza e il tentativo di resistenza dell'ultima canzone che dà il titolo all'album in un crescendo musicale da brividi, voce e chitarra elettrica all'inizio e orchestra cacofonica alla fine ("Questa è per la ragazza che dice che queste voci che sente nella sua testa non la lasciano in pace/ Non ascoltare la tua insegnante, non sei pazza, solo più intelligente degli altri/.../ La vita è dolce, la vita è dolce, la vita è dolce, la vita è dolce amara" in "Life Is Sweet").
Sento che non ce la faccio più a continuare, le mie forze fisiche e mentali mi stanno abbandonando, e lascio la conclusione a una frase dello scrittore Thomas Pynchon dedicata a un romanzo da lui tanto amato ("Così Giù Che Mi Sembra Di Stare Su" di Richard Farina), ma che sembra perfetta per descrivere in poche parole la portata di "Life Is Sweet": "Questo disco arriva come un coro di alleluia intonato da duecento suonatori di kazoo perfettamente intonati".
Forse la cura non esiste, forse sarò costretto per l'eternità a iniettarmi quotidianamente una dose di Maria McKee per poter sopravvivere.
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