Shhh... si si, lo so, qui o si recensisce metal oppure generi di complessità maggiore, ma concedetemi di spendere una sola recensione su una delle più belle voci pop degli ultimi anni, sto parlando di (mo mi cadranno addosso una quantità infinita di critiche) Mariah Carey.
Alla soglia dei 20 anni di carriera e con alle spalle alcuni dei dischi di maggior successo della scorsa decade, nonchè una crisi musicale/personale durata circa quattro anni, la burrosa Mariah si riaffaccia "timidamente" sul mercato discografico solo nel 2005, con questo "The Emancipation Of Mimì", uno forse degli album più importanti della carriera di questa cantante principalmente per due motivi:
1) Ritorna sul tetto del mondo, riuscendo a ristabilire dei dati di vendita consoni al suo passato
2) Abbandona il pop inflazionato a favore in più di una sorta di pop-soul decisamente più raffinato
L'avvicinamento ad uno stile musicale più raffinato e di classe porta all'allontanamento quasi definitivo da quel pop che aveva decretato l'insuccesso di due album come "Charmbracelet" e "Glitter", entrambi votati ad un pop da classifica banale e piatto nei quali, al di la della voce della stessa Mariah, non si riusciva a tirare fuori proprio niente di buono. Nonostante in questo "The Emancipation Of Mimì" siano presenti di pezzi più ruffiani e tipicamente ancorati a clichès di stampo più popolare, quali i singoli di lancio "It's Like That", "We Belong Together" o "Can I Get Your Number" (la prima e la terza sono due pezzi pop danzerecci, la seconda una malinconica ballata), è in brani quali "Mine Again", "Joy Ride" o ancora l'ultima "Fly Like A Bird", che le raggiungono vette qualitative davvero elevate, suonando estremamente orecchiabili ma mai banali, grazie specialmente al lavoro svolto dal piano, sulle note del quale si adagia, specialmente nelle due ballate soul, "Mine Again" e "Joy Ride", la voce di Mariah.
D'altra parte nel disco si incontrano anche canzoni più vicine all' r'n'b e al hip hop, come si può notare in episodi quali "Say Something", "To The Floor" o "One And Only", nei quali la mano di produttori quali Jermain Dupri, Neptunes o Kanye West si fa sentire maggiormente. Questo "Emancipation..." continua poi sulla strada di tutti gli altri dischi per quel che riguarda la volontà di mettere in mostra le notevoli capacità vocali di Mariah, sempre pronta ad inerpicarsi su vocalizzi impossibili, con fraseggi tutti "appoggiati" su tonalità a dir poco imprendibili specie per la maggior parte delle pseudo cantanti di oggi, con un continuo utilizzo di toni fischiati e di falsetti. Nonostante non vi sia nulla di nuovo (in senso prettamente musicale) sotto il sole, sarebbe infatti più logico parlare di un ritorno alle origini, la Mariah Carey degli ultimi anni ha dimostrato di essere molto migliorata sotto il profilo musicale, dimostrandosi non solo in possesso di una voce fenomale, ma anche di discrete capacità compositive, e visti i tempi che corrono non mi pare poco.
(So già che pioveranno critiche a iosa per questa recensione, vi prego per tanto, qual'ora non sopportasse l'artista, qual'ora aveste tempo da buttare inutilmente, qual'ora vi prendesse un'irrefrenabile voglia di scaricare la vostra frustrazione, di farlo al trove e non in questa sede... questo appello è naturalmente rivolto a tutti quegli utenti che sono soliti sozzare le recensioni degli altri, non rispettando assolutamente il "lavoro" che c'è dietro alla stesura di una recensione).
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