Dopo una pausa terapeutica ottenuta al termine del lungo e massacrante tour di "Holydays in Eden", tour che, tra le altre cose, ha confermato la robustezza delle prestazioni live della band nonché un netto miglioramento in Steve Hogarth che, fatto tesoro di alcune carenze vocali del tour precedente, ha arricchito il suo bagaglio tecnico fornendo prestazioni quasi sempre inappuntabili, i Marillion decidono di tornare in studio per lavorare su materiale nuovo.
Le idee sono sempre molteplici, tutti quanti i componenti della band vogliono uscire dall’empasse creata dal precedente album, vogliono a tutti i costi cancellare il vocabolo "commerciale" dalla dicitura esplicativa posta sulla targhetta sotto al loro nome, in sostanza vogliono ritornare alla loro identità primaria.
La prima decisione che viene presa è quella di emigrare, si va dunque in Francia, precisamente in un castello del Sud della Francia, dove vengono trasportati gli equipaggiamenti, due mixer a 24 canali, e Dio solo sa quanti e quali effetti sonori. L’ispirazione arriva in fretta, le prime registrazioni vengono effettuate con la batteria posta in quello che era originariamente lo studio del Signore del Maniero, le chitarre nella Sala da Ballo, l’impianto voce nella stanza da letto, che poi si scopre essere stata anche utilizzata in passato dalla Regina Madre Inglese. Vengono anche registrati e riportati in Inghilterra al ritorno a casa effetti assolutamente naturali provenienti dagli interni del Castello, dal fiumiciattolo che scorre all’esterno, da sassi e animaletti strani, da voci dei bambini dei musicisti.
Una volta a casa i Marillion non utilizzano l’Hook End Studio solito in uso ma un capannone adibito a sala incisioni, le prime canzoni in via di formazione vengono portate a buon punto da produttore (Dave Meegan, che ritorna al suo posto rimpiazzando il confusionario Chris Neil, principale colpevole di alcuni pezzi troppo commerciali del precedente disco) e band, ma ancora questo lavoro non ha un’identità precisa musicalmente, inoltre ci sono davvero poche idee per quanto riguarda le liriche.
Ma il fato viene in aiuto nella più fortuita delle guise: un pomeriggio qualunque Steve Hogarth è incolonnato in automobile e per coincidenza ascolta la radio nel momento in cui la polizia dell’area di Bristol (si suppone) diffonde un comunicato richiedente se per caso qualcuno all’ascolto conoscesse una strana ragazza in preda al panico e pericolosamente appoggiata sulla balaustra della Motorway del Severn Bridge (ponte che collega l’Inghilterra al Galles). Essendo proibito dalla legge camminare su detta Motorway, i gendarmi hanno prelevato la giovane, che, interrogata, rifiuta di fornire informazioni, di dire il suo nome, persino di aprir bocca. Nessuno riesce a capire se sia muta, se sia o meno mentalmente instabile, che intenzioni avesse, se volesse buttarsi dal ponte, se stesse solamente facendo una passeggiata...chissà.
L’annuncio radiofonico arriva direttamente al cuore dello scrittore insito nell’inconscio di Steve, che ne crea un solido punto di partenza per un fantastico lavoro di fiction. Hogarth incrementa la propria attività, le canzoni prendono rapidamente forma, ci si rende conto che i pezzi sono perfettamente concatenabili e che la storia raccontata ha un che di misterioso e di sublime. Subito si intuisce che questo sarà un lavoro di spessore. Alla stessa EMI viene esposto chiaramente dalla band il tipo di album che sta per essere concluso, e stavolta la casa discografica non ci mette becco lasciando il tutto nelle mani di gruppo e produttore.
Finalmente, dopo uno scrupoloso e spossante lavoro, sugli scaffali dei negozi e dei megastores compare "Brave". E’ il 1994. Basta soltanto iniziare l’ascolto con "Bridge" e "Living With The Big Lie" per capire che trattasi di album capolavoro sotto ogni punto di vista. I Marillion sono tornati al prog, non è quello degli esordi di "Script for a Jester Tear" o "Fugazi"...è qualcosa di diverso, qualcosa che nessuno aveva fatto prima, è un alternarsi di melodie romantiche ed oscure e maestosi sviluppi (mi riferisco a "Runaway" e "Goodbye to All That") di linee vocali a tratti estreme ed a tratti molto basse e tetre, sempre superbamente interpretate dal miglior Steve Hogarth, sfavillanti assiemi corali ("Alone Again In The Lap Of Luxury"), riff tipicamente rock ("Hard As Love") combinati con atmosfere se vogliamo anche etniche ("Brave", "Paper Lies" o "Made Again") ed il brano di punta, la fantastica "The Great Escape" che si apre con un pianoforte-voce da raziocinio mistico per chiudersi in un assieme talmente perfetto da far scorrere brividi sulla schiena. E’ un album magistrale che ha richiesto impegno particolarmente arduo principalmente per tutto ciò che ha riguardato l’arrangiamento dei pezzi per le esibizioni live (in alcuni brani sono presenti anche fino a nove tracce di chitarra), con tutti i componenti della band a spartirsi più compiti da svolgere in un unisono che non ammette sbavatura alcuna.
I Marillion prendono altresì la decisione di non girare alcun video per "Brave" ma di realizzare un cortometraggio (disponibile anche in un’eccellente versione dvd con molti extra) in grado di catalizzare l’attenzione dello spettatore contemporaneamente su brani musicali e storia da raccontare. Il film narra ovviamente, con le fantasiose correzioni del caso, la storia della ragazza raccolta sul Severn Bridge. I Marillion stessi vi compaiono diverse volte, impegnati ad eseguire i brani. Come concludere una dissertazione su "Brave", unanimemente definito da critica ed ascoltatori come "l’album simbolo del prog negli anni ‘90"...non saprei...direi con l’unico aggettivo che gli spetta: perfetto. Sommo grado assoluto, forse inarrivabile, nella carriera dei Marillion.
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