Per alcuni rappresenta capitolo e capolavoro conclusivo, per altri solamente la morte prima di una rinascita migliore: in ogni caso "Clutching At Straws", del 1987, segna un punto di non ritorno. Rispetto ai tre album precedenti è un po’ diverso, c’è meno prog, pur rimanendo nei canoni del rock anni ’70. Ma un lieve cambiamento dal punto di vista musicale non è sempre sintomo di qualcosa di negativo. "Clutching At Straws" è il disco dei Marillion che più di tutti gli altri riesce a suscitare delle emozioni, con il suo sottile velo di malinconia e di tristezza in cui è avvolto.

Il titolo spiega già di per sé il tema principale trattato da Fish: "Clutching At Straws" significa letteralmente tirare le pagliette, come quando si fa una conta, decidendo le sorti di certo evento; allo stesso tempo è un modo di dire in inglese che significa arrampicarsi sugli specchi. E’ dunque una metafora a due significati sulla vita: quanto essa possa essere condizionata da una nostra scelta giusta o sbagliata, ma anche dalla fortuna, e di come si cerchi disperatamente di aggrapparsi a qualcosa anche quando tutto è perduto.

Iniziamo con un’ atmosfera fantastica in "Hotel Hobbies", dove Steve Rothery fa uno degli assoli di chitarra più belli della storia dei Marillion. Senza interruzione irrompe il pezzo più appassionante dell’album, "Warm Wet Circles". Quale maniera più poetica può esistere per descrivere un bacio sulla guancia? Un caldo cerchio umido… (Like a mother’ s kiss on your first broken heart / A warm wet circle). Ascoltando la perfetta combinazione degli strumenti, non si può non sentire qualche emozione suscitata da questo magnifico brano. Di nuovo direttamente collegata troviamo "That Time Of The Night (The short straw)", con un bel basso di Pete Trewavas all’inizio e poi quel riff di tastiera da pelle d’oca. Anche in questo ascolto le emozioni sono vibranti. Ritorna la tematica della sfortuna, quando peschi la paglietta corta e le cose sembrano andare male. Poi il solito finale quasi urlato da Fish e il reprise di "Warm Wet Circles", cantato dalla brava corista Tessa Niles. "Going Under" è un breve intermezzo arpeggiato, dall’atmosfera molto triste. "Just For The Record" cambia tono e ha un ritornello davvero degno di nota. "White Russian" è un brano molto energico e piace fin dal primo ascolto, che si oppone al neo-nazismo e il testo fu ispirato da una visita di Fish al quartiere ebraico di Vienna. "Incommunicado", con il suo ritmo trascinante, ha un sintetizzatore che è semplicemente poesia dall’ inizio alla fine ed ha anche avuto un discreto successo commerciale come singolo.

La canzone "Torch Song" ha una bella atmosfera e racconta la storia di Torch, una figura mitologica inventata da Fish, una sorta di angelo-guardiano, demone distruttore e divinità salvatrice del mondo. Il bel pianoforte introduce un brano assolutamente fantastico, "Slainthe Mhath", con un bel cambio di accordi e la chitarra con effetto eco che sembra parlare. Slainthe Mhath in scozzese antico significa “ buona fortuna” ed è dedicata a tutti quei lavoratori che negli anni ’80 non se la passavano troppo bene nel Regno Unito (They promised us miracles / But the whistle still blows). "Sugar Mice" è una canzone tristissima parla della malinconica realtà di molti padri che non rivedono i propri figli dopo il divorzio, il cui dolore e sensi di colpa li “sciolgono come caramelle di zucchero a forma di topo nella pioggia”: Blame it on me, blame it on me / We’ re just sugar mice in the rain. Nella conclusiva "The Last Straw" permane quell’atmosfera sopra descritta, con un bel riff e il finale che cita il famoso proverbio inglese “Drowning men will grasp at straws”: I’m still drowning / we’ re clutching at straws.

Paradossalmente, il finale si chiama “Happy Ending”. La versione in Cd del 1998 con un cd extra contiene del materiale veramente interessante. C’è la versione alternativa per il singolo di "Incommunicado" e il suo lato B con la canzone "Tux On", un vero gioiellino, che narra di quanto sia fortunato chi nasce con la camicia, o in questo caso con il Tux, un vestito elegante. Bellissima la versione estesa di "Going Under", forse anche migliore di quella sull’album. E poi vi sono le inedite: "Beaujolais Day", "Story From A Thin Wall", "Shadows On The Barley", "Sunset Hill", "Tic-Tac-Toe", "Voice In The Crowd" e "Exile In Princes Street" sono tutte canzoni stupende. Ci si chiede perché non le abbiano pubblicate ai tempi, perché un bell’Lp doppio ci stava proprio. Qua e là si possono sentire alcuni pezzettini che finiranno nel primo album solista di Fish. Infine c’ è una demo di "White Russian" e la prima versione di "Sugar Mice", intitolata "Sugar Mice In The Rain".

Due parole vanno spese anche per la copertina: ci troviamo di fronte ad un artwork più cupo rispetto ai precedenti, per metà fotografia e per metà disegno. Vi sono i Marillion in un bar con figure di personaggi famosi (compaiono John Lennon e Marlon Brando sul retro, ad esempio) legate alle tematiche complesse dell’Lp ideate da Fish. In primo piano c’è la figura in cappotto e faccia dipinta di Torch, che garantisce la continuità dell’opera concept avviata nelle tre sleeve precedenti (dalla tasca infatti spunta il berretto da giullare). E’ un buon lavoro dell’artista Mark Wilkinson, ma forse un po’ meno entusiasmante rispetto ai precedenti. Durante la discussione e la realizzazione della copertina dell’album l’atteggiamento di Fish è stranamente distaccato e lascia alla band il compito di occuparsene. In compenso sommerge la band di parole per le canzoni e nascono le prime tensioni, perché il resto della band vorrebbe più spazio per le parti strumentali. Durante la fase di mixaggio dell’album cominciano i dissidi veri e propri all’interno della band. Fish viene accusato di tenere un atteggiamento troppo critico negli studi di registrazione: a Steve Rothery chiede addirittura di reincidere un assolo di chitarra, reputato non all’altezza. La lite in studio è violenta, Fish lancia una bottiglia di whisky che manca di poco il chitarrista, il quale manda tutti al diavolo sbattendo la porta alle sue spalle. Tutta la band è scioccata, tanto che il bassista Pete Trewavas nel tornare a casa fa un brutto incidente con la sua automobile. Fish intanto si fidanza e decide di mettere su famiglia. Decide di chiedere prestiti per un mutuo e chiede al manager John Arnison se le entrate della band glielo consentono. Egli assicura il cantante che tutto è posto, ma così non sarà. Fish è furibondo e arriva a detestare il manager della band. Riesce a convincere la band che è ora di liberarsene, ma John Arnison riesce a portare dalla sua parte i Marillion. Fish, stizzito, pensa che questa sia la goccia che fa traboccare il vaso e lascia definitivamente i Marillion. Da qui in poi i Marillion continueranno con il bravissimo cantante Steve Hogarth virando verso un rock di stampo differente, mentre Fish inizierà una sfolgorante carriera solistica. A noi resta solo il rimpianto per la fine di un mito e per la magia di un’era che non c’ è più, con questo "Clutching at Straws": definirlo solamente un lampo di genio sarebbe riduttivo.

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