Siamo nel 1988 ed i Marillion, band inglese di Progressive Rock da qualche anno sulla ribalta continentale, perde quello che, al momento, è il suo pezzo più pregiato. Dopo quattro album ed almeno un lustro di successi, buona parte di essi ottenuti grazie al concept album "Misplaced Childhood" datato 1985, album che contiene tra le altre l'immortale "Kayleigh", singolo che fa il giro del mondo, il cantante Derek Dick, meglio conosciuto come Fish, se ne va sbattendo la porta e senza alcuna apparente ragione.
La band rimane con un palmo di naso e senza il suo elemento più rappresentativo, ma non ha nessuna intenzione di recitare il De Profundis. Si mette immediatamente al lavoro per un nuovo album e, contemporaneamente, mette un annuncio sulle testate giornalistiche musicali più importanti per cercare un nuovo leader. Ian Mosley, batterista, ha il compito settimanale di passare dall'ufficio e raccogliere le demo-tapes inviate dai numerosi pretendenti al soglio di Fish. Un bel mattino si imbatte in un'incisione di un certo Steve Hogarth, semisconosciuto tastierista e seconda voce di un altrettanto semisconosciuto gruppo chiamato How We Live. Decide che non è più il caso di continuare le ricerche individuando nel giovane Hogarth la nuova linfa vitale dei Marillion.
Steve, che da qui in poi si farà chiamare "Mr. H" o, più semplicemente "H", ovviamente accetta di buon grado la convocazione e partecipa attivamente anche alla stesura definitiva di quello che diventerà "Season's End", il primo album dei nuovi Marillion post-Fish, apportando liriche ai pezzi già praticamente conclusi e scrivendo pezzi inediti per il suo nuovo gruppo. Uno di questi brani quasi totalmente made in Hogarth è la splendida ballad "Easter" che diventerà il brano di punta del nuovo album, nonchè (forse) il più amato di sempre dai fans della band. Arrivamo al tardo 1989 e finalmente il lavoro vede la luce.

L'album si apre con "The King of Sunset Town" pezzo che parte con una soffusa tastiera per poi svilupparsi in un intro maestoso con protagonista la sempre viva chitarra di Steven Rothery. La melodia è splendida, specie nel refrain. Il brano è più sul prog, se ne vogliamo inquadrare il genere, anche se non è certo il prog rock che la band proponeva nei primi lavori, bensì, nella sua comunque cotanta beltà, è di più immediato impatto e semplice ascolto. Si prosegue poi con la già citata meravigliosa "Easter" per poi continuare con "The Uninvited Guest" che è basilarmente un pezzo rock, ma della miglior fattura, con un testo davvero eccezionale.
La title-track "Season's End" è un lentone di quasi nove minuti mai banali, mai noiosi, con una linea vocale che si sposa perfettamente con il tappeto di tastiera e chitarra in minore.
"Holloway Girl" è un bel brano prog che parte con un giro di basso plettrato per svilupparsi in un bel refrain con una linea vocale molto alta, da rilevare l'uso delle tastiere mai invadenti e la chitarra in pulito di ottimo gusto nell'economia del pezzo.
"Berlyn" è forse il capolavoro del disco. Brano in minore dedicato all'appena abbattuto muro, si apre con un sommesso tappeto di tastiera lento per poi dividersi in due parti, nella seconda viene fuori la cattiveria, la batteria si fa avanti sempre più insistentemente nello stile prog con un cambio di tempo sincopato davvero bello, come bellissima è la linea vocale di H che raggiunge picchi davvero impressionanti.
"Hooks in you" è il brano successivo, quello che era originariamente uscito come primo singolo, trattasi fondamentalmente di un hard rock melodico con intermezzi sincopati, molto breve, in maggiore, nemmeno tre minuti, di presa immediata. Ottima canzone di lancio.
L'album si chiude con "The Space", un brano incentrato sulla tastiera con tempi da ballad da stadio, bell'assolo di chitarra e tastiere impostate a quartetto d'archi veramente godibili.

In conclusione, "Season's End" è importante per i Marillion perchè con questo disco hanno chiuso una grande epopea, quella di Fish, ed hanno aperto un nuovo ciclo. Ogni band che cambia il cantante ha sicuramente ripercussioni internamente ed esternamente, i fans che si sentono cantare i loro brani preferiti da un'altra persona con una voce completamente diversa possono anche restare basiti, e chi potrebbe dargli contro? Ma questo album ed il successivo tour hanno rappresentato più di tutto l'ascesa di Steve Hogarth che ha fatto ricredere anche i "Fishani" più inquadrati che si può e si deve guardare avanti.
"Season's End" non è il miglior album dei Marillion, non è un punto di arrivo. É la seconda genesi.

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