Nel 1997 sono passati dieci anni esatti dall'uscita di "Clutching At Straws", canto del cigno della formazione originale con Fish alla voce, i Marillion sono ormai definitivamente immersi nell'era Hogarth e hanno dato una sterzata alle proprie coordinate stilistiche allontanandosi dagli stilemi più tipicamente neo-progressive che essi stessi avevano ampiamente contribuito a creare. Dopo l'iniziale smarrimento di chi aveva imparato ad amarli nel periodo Fish, hanno dimostrato di sapersi reinventare in maniera eccellente, dando alle stampe, nel 1994, "Brave", considerato uno degli apici artistici della loro carriera e che segna in qualche modo il definitivo superamento dell'esame cui erano stati sottoposti, Hogarth su tutti, fino allora.

Nel 1997 esce "This Strange Engine", primo lavoro per la loro nuova etichetta Castle Records dopo la chiusura del rapporto con la EMI e dopo il non troppo acclamato "Afraid Of Sunlight", che apre un periodo non troppo fortunato, a livello di riscontro di commerciale, per il gruppo, che perde un pò di visibilità pur dimostrando di poter ancora dire la propria.

L'apertura viene affidata agli accordi di chitarra acustica di "Man Of A Thousand Faces", canzone nella quale si fa fatica a riconoscere il gruppo di "Script For A Jester's Tear" o "Fugazi" ed in cui non si rinvengono molti elementi prog, ma che cresce e si costruisce gradualmente fino ad una lunga coda finale in cui la voce di Hogarth viene accompagnata da un coro di voci bianche. Le successive "One Fine Day" e "80 Days" sono altri due ottimi pezzi che confermano l'impressione suscitata dall'opener: i Marillion hanno deciso di attenersi alla forma canzone più di quanto avessero mai fatto in passato, concedendosi meno variazioni sul tema, e il risultato non è niente male. A fugare definitivamente tutti i dubbi ci pensa "Estonia", meraviglioso pezzo ispirato dall'incontro di Steve Hogarth con uno dei superstiti dell'affondamento del traghetto Estonia nel Mar Baltico e caratterizzato dal suono della balalaika.

Il livello rimane molto buono anche in "Memory Of Water", incentrata principalmente sulla voce di Hogarth, e "An Accidental Man", in cui l'anima prog riaffiora timidamente; l'unica flessione importante si incontra a mio avviso in "Hope For The Future", un esperimento non esattamente riuscito di fare uso di sonorità caraibiche. Fortunatamente ci pensa l'ultima "This Strange Engine" a risollevare il livello, ricordandoci che il prog scorre ancora nelle vene dei Marillion e facendolo perdipiù in manera splendida: 15 minuti in cui l'atmosfera cambia più volte, lasciando più spazio anche agli assoli di Rothery e Kelly, oltre che ad un intervento di sassofono.

I Marillion dovranno aspettare l'uscita di "Marbles" nel 2003 per riguadagnarsi completamente il favore del proprio pubblico e dimostrare di avere ancora voce in capitolo, ma a ben vedere i nove anni passati da "Brave" non sono da trascurare e "This Strange Engine" non sfigura assolutamente nella loro discografia.

Ergo, 4 pallini se li merita... 

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