Il barocco e la sublimazione.
Sublimazione del materiale.
Abete rosso, acero marezzato, ebano o palissandro: far di assi di legno una viola da gamba.
Sublimazione della manualità.
Mani di artigiano, d’accordatore e di musicista: far delle proprie mani un veicolo d’armonie.
Sublimazione della scrittura.
Segni stampati: far di muti segni notazionali un vivo e volatile vibrar dell’aria.
Sublimazione dell’economia.
Meri soldi: far dei propri soldi un vinile di seconda mano ed un impianto capace di renderne udibile il suono.
Sublimazione delle parole.
Follie di Spagna, Voci umane, Gighe, Minuetti e Gavotte: far degli inadatti nomi (privi di somiglianza alcuna con la cosa che risuona indefinitamente in chi l’ascolta) che le forme compositive hanno acquisito per convenzione, un risuonar concreto e profondo, un filo rosso, un dialogo dello strumento con se stesso.
Sublimazione dell’esperienza.
Ascolti, a volte attenti, a volte disattenti e discontinui, interrotti da soffritti di cipolla bruciati o da altre incombenze della vita: far dei ripetuti ascolti del suono d’un solco inciso, l’incisione d’un solco inciso —quel che suol dirsi memoria— in noi stessi. D’un solco che risuona in sincronia col greve risuonar della viola, in accordo col risuonare della registrazione d’una viola fatta vibrare al tocco (di chi sa come toccarla) per far sì che i segni morti ed il taciturno pezzo di legno col vapore piegato (da chi sa come piegarlo) divengano tutt’altro.
Un suono ordinato e limpido.
Un pezzo di vita.
Come tutto ciò possa avvenire, resta per me un mistero.
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