2.5/5
Furono tanti gli aspetti che apprezzai del debutto della greco-gallese Marina Diamandis di due anni fa.
Una voce unica, abilissima ad adattarsi qualunque fosse il genere, un gran carisma e la più totale franchezza nel non voler apparire nulla di più di ciò che proponeva, cioè del semplicissimo pop, confezionato, però, con cura e buon gusto, regalandoci, a mio parere, uno dei migliori dischi di genere degli ultimi anni.
Tanti i cambiamenti, dunque, per questo ritorno.
Il sound è sempre meno ricercato, a volte anche pesantemente commerciale, poche le sperimentazioni, più una trasformazione totale del personaggio, ora divenuto, per l'appunto, Electra Heart, alter-ego della cantante ventiseienne: una biondina sempre vestita di rosa confetto, che, a detta della stessa artista, rappresenterebbe la teenager americana tipo, ossessionata da sogni di fama e successo facile, cresciuta in un mondo di plastica ed ipocrisia, e divenuta, dunque, schiava di esso a sua volta.
E, se con brani come il primo singolo ufficiale "Primadonna","Valley Of The Dolls" e la memorabile "Fear And Loathing", senza dubbio punto più alto dell'album, il giochetto "sto interpretando tutto ciò contro cui lotto" potrebbe funzionare, in momenti come "Homewrecker" e "The State Of Dreaming", la giovane pare prendersi davvero un po' troppo sul serio, infondendo nell'ascoltatore il dubbio che, dietro tutto questa farsa, un mezzo sentore di verità, in fondo, ci sia.
Insomma, nonostante tracce come "Bubblegum Bitch" e "Power & Control", prese con le pinze, potrebbero funzionare come semplici pezzetti di musica leggera, un permeante odore di falsità e successo facile si aggira basso e in agguato dalla prima all'ultima nota del disco.
Il dubbio sorge: la Marina di "I Am Not A Robot" e "Mowgli's Road", esiste ancora?
Ai posteri l'ardua (?) sentenza.
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