Leggevo tempo fa che, nell'ottica della borghesia affermatasi come ceto detentore del potere politico a partire dalla rivoluzione francese del 1789, l'uomo viene visto essenzialmente come produttore e portatore di ricchezza, e la sua attività, sociale e giuridica, viene appiattita nella dimensione puramente economica, riducendolo - qui sono letteralmente sobbalzato sulla poltrona - ad un "manichino", ad una entità astratta, a-storica, inesistente.

La sorpresa con cui leggevo le pagine in questione, provenienti dalla relazione di un affermato storico del diritto era dovuta al fatto che, da qualche parte, avevo già visto gli uomini trattati come manichini, ridotti a marionette in lotta per il potere e per l'affermazione economica: il luogo non era accademico, bensì cinematografico, e per di più tipico di un cinema (definito) di serie b, come quello di Mario Bava.

I titoli di testa di "Sei donne per l'assassino" ('64), ci mostrano infatti, nelle sapide tinte del technicolor, tutti gli attori principali del film mentre posano come manichini - ed in mezzo a manichini - anticipando lo svolgimento dello stesso film, che si svolge, in maniera preponderante, all'interno di un atelier ed attorno alle attività correlate a quelle della casa di moda, scosse dalle gesta di un misterioso assassino che, via via, uccide senza apparente motivo sei donne.

Nel film, tutti i personaggi sono trattati dal regista d'origine ligure come dei manichini, vengono mandati al massacro, sotto i colpi di un fantasioso killer, senza ragione apparente, salvo scoprire, alla fine, che la vicenda appare del tutto razionale. Motore dell'omicidio, come spesso avviene nei lavori di Bava, è infatti la solita, eterna, avidità umana, l'ansia di potere e danaro che travisa i protagonisti, borghesi, delle sue storie, spingendoli ad abbandonare la tranquillità delle proprie esistenze per soverchiare il prossimo ed uccidere.

Non che io voglia affermare che il cinema di Bava sia un cinema a tesi, né che i lavori del Nostro avessero ambizioni metacinematografiche o, peggio ancora, pedagogiche, ma è indubbio come, dietro le storie del regista, si celi quantomeno una visione del mondo che mescola pessimismo e realismo, non lasciando mai spazio alla speranza, né comprensione per l'invididuo.

In ciò si colgono, anche a partire da questo film, le profonde differenze rispetto ad Argento, a torto ritenuto l'epigono di Bava: mentre nel primo vi è un ottimismo di fondo, per cui misteri, delitti e dolore vengono alla fine svelati dall'investigatore, riportando la realtà verso una recta ratio, in Bava un discorso del genere manca del tutto, essendo palese come gli investigatori non scoprano mai nulla, tantomeno se dilettanti, come gli omicidi non costituiscano la violazione dell'ordine reale, ma la stessa affermazione della realtà ed il suo disvelamento nella violenza assoluta.

Anche per questo non fidatevi di chi effettua indebiti paragoni fra i due registi, addirittura assimilando a "Sei donne..." il film d'esordio del Dario nazionale, certamente aveva assimilato la lezione estetica di Bava, senza condividere né riproporre il contenuto dei suoi film nei propri lavori.

Al pari di Argento, invero, sussiste in Bava un pieno controllo della messa in scena ed una eccelsa capacità di dosaggio delle luci e dei colori, resistendo allo spettatore, come bene avviene in questo film, una raffigurazione espressionista, vivida, in cui gli stessi colori antinaturalistici si fanno voce narrante della storia, definiscono le atmosfere e gli stati d'animo (cosa vista anche ne "Il profumo della signora in nero" di Francesco Barilli). Meno felice, forse, la direzione degli attori, per cui la riuscita del film dipende dalla loro intrinseca qualità, più che dalla capacità del regista di impiegarli al proprio servizio.

Le ragioni anzidette rendono "Sei donne..." altamente raccomandabile, non solo per gli amanti del giallo all'italiana - qui colto nel suo atto fondativo - ma anche per tutti coloro che non vogliano avere un idea stereotipata del nostro cinema, non credendo che esso si risolva, nei soliti, noti, capolavori.

Chapeau.

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