In un mondo migliore "Love Me Licia", epocale serie TV diretta da Mario Cavazzuti e lanciata nel 1986, sarebbe esposta al MoMa e non bollata come trash.
Perché trash lo è, ma lo è come un film di John Waters. Consapevole del marciume che ha in fondo all'anima: è un'opera d'arte punk, malata dentro, fuori dal tempo ma al contempo così fortemente ottantiana, con degli arredamenti trattati con superficialità ma coloratissimi e lachapelliani e con un trionfo del nonsense da lasciare atterriti.

Un nonsense inimmaginabile che emerge da dialoghi intelligenti e brillanti che hanno come obiettivo un'indagine spietata e meticolosa sulla crisi e la convivenza coniugale. Una riflessione estrema e conciliante su cosa sia l'amore, sulle sue difficoltà, sulla sua fine e sul suo inizio. Perché l'amore è una cosa seria, non solo civetterie: amare è andare a sbattere contro un palo, è anche indagine interiore. Amare è chiedersi se si possa continuare a sostenere una persona che ti dice di odiare la pasta coi capperi per poi rinfacciarti che se ne mangerebbe un piatto abbondante. Amare è regalare incantesimi, far cadere la neve all'improvviso durante la notte di Natale. Amare è camminare fino all'orizzonte, al mare, in accappatoio per dimostrare che "amando si può camminare sulle acque". Ma la rabbia, la repressione è dietro l'angolo: Mirko non riesce a camminare sulle acque per Licia. L'acqua, infatti, gli arriva fino al polpaccio. 

La vita di coppia è dolce e dura insieme. Ogni relazione umana ha le sue difficoltà, le colpe sedate, i traumi del passato, la violenza del ricordo. Così si viaggia in questo nonsense che fa parte della nostra vita. Perché la nostra vita è prima di tutto NON-SENSO.
Un viaggio verso la fine del mondo che si concretizza in una visionarietà che ricorda i film di Terayama: cornicette rosa sfocate lynchiane a sigillare incubi legati all'abbandono, padri invadenti, difficoltà quotidiane...

Licia si dimentica di cucinare le fettine panate a Mirko, ma magicamente le appaiono da dietro la schiena e si concretizza il sogno amoroso: la speranza c'è sempre, ma può essere vana. Vano come può esserlo il ricordo di un camino di infanzia, duramente costruito con sforzo alla Mizoguchi cercando personalmente la canna fumaria, battendo forte contro la parete e bucando il nido d'amore con il cacciavite. Licia si rifiuta di chiamare un tecnico o chi ha le competenze: il problema è legato alla coppia e per salvare l'amore, lei lotta duramente. 

Licia lotta, ma al contempo vuole che il suo fidanzato si tagli il ciuffo rosso, che, ammettiamolo, è ridicolo, ha ragione lei. Lui è mesto, non lo taglia. La fa passare come una sorpresa, un messaggio per l'accettazione. No, miei cari: è prima di tutto incomprensione cronica nascosto sotto una patina rosa pastello.

La coppia è dolcezza, ma al contempo violenza. "Love Me Licia" riesce laddove molti autori cinematografici non sono riusciti: descrivere perfettamente le dinamiche turbolente che avvengono tra i sessi, in un idillo matrimoniale dove però non si può consumare perché l'incomunicabilità dei corpi si concretizza nell'insaziabile e insensata convivenza. Non si può scopare. Il sesso avviene in modo pacato attraverso le parole, perché il terrore del contatto umano resta impalpabile sotto i sorrisini. Jane Austen, con le sue carinerie, non ce l'ha fatta ad essere così diretta ma al contempo criptica. 

Un gorgo visionario, sotto acidi, malatissimo, sorretto da musiche che non sfigurerebbero nei roman porno giapponesi con le suore zozze in convento. Ma ricordiamocelo: in "Love Me Licia", sotto i sorrisi e la dolcezza, c'è il desiderio represso, la minaccia incombente del rifiuto, della sanità mentale, del crollo. 

Un'opera fondamentale, da guardare senza pregiudizi. Statica e monolitica, lì, sospesa a dirci che la nostra vita è morale e immorale insieme, dolce e amara, sofferente e gioiosa. Seminale nella sua comunicazione. A constatarne lo stato di "Love Me Licia" c'è Cristina D'Avena e non poteva che essere lei l'attrice protagonista della saga: sogno e incubo infantile, è sia la prima cotta, sia l'amica, sia il trauma dei genitori che vorrebbero guardare il telegiornale. Perché Licia è vita e morte racchiuse in un solo corpo. Impresse su pellicola. Per sempre.

Nel nostro cuore. 

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