"Me dispiace… Ma io so’ io, e voi nun siete un cazzo"

 

Il Marchese del Grillo di Sordi e Monicelli è apprezzato soprattutto per i dialoghi e le battute memorabili (di cui la frase in apertura è il caso più famoso). Ma questo film è molto di più di una sceneggiatura col mordente. Infatti, sotto una vena comica di tutto rispetto, Monicelli nasconde un ritratto dell’Italia di allora e di oggi, partendo da uno snodo decisivo: lo scontro tra il vecchio e il nuovo, incarnati rispettivamente dalla Roma del “papa re” e dai francesi di Napoleone. Uno scontro che nel 2009, dopo due secoli esatti, sembra più che mai attuale ed irrisolto.

Il Marchese Onofrio del Grillo (Sordi) è un nobile esponente della Roma pontificia. La famiglia, con i suoi personaggi paradossali, è una feroce caricatura della nobiltà, ritratta nelle sue buffe occupazioni: Camilla e il suo alito pestilenziale; zio Terenzio e la sua antenata da beatificare; Don Sabino e gli ‘atti impuri’ del piccolo Pompeo; su tutti spicca la vecchia Marchesa, padrona di casa, che incarna le istanze conservatrici. Ovviamente il nemico giurato sono i francesi e il loro teatro, «dove le parti da donna le fanno addirittura delle donne vere!». Attorno alla famiglia e al Marchese, al grido di «s’è svejato!» e «s’è addormito!», si muove l’esercito di servitori. Caricatura ancora più impietosa è la Guardia Nobile del Papa (Paolo Stoppa), una milizia di mummie dai volti rugosi e decrepiti. Il Marchese è più giovane, ma non più utile: infatti non perde occasione per ignorare i suoi doveri e dedicarsi al gioco, alle donne e agli scherzi, accompagnato dal fedele Ricciotto (Giorgio Gobbi) in mezzo ai “peggiori birbaccioni de Roma”.

Il confronto tra il vecchio e il nuovo prende vita nella passeggiata con Blanchard, militare francese, che gli parla della guerra, di Napoleone e della Marsigliese. Il Marchese sembra incuriosito dalla “ventata di aria nuova” dalla Francia, ma non al punto da mettere in discussione il vecchio sistema, di cui è un privilegiato: 

«Certo che andate in battaglia, con un inno così… Noi ci abbiamo Noi Vogliam Dio, do’ nnamo?»

«Sì, ma per avere un inno così bisogna tagliar la testa a tutti i Marchesi del Grillo come te…»

«Sì? Allora me tengo Noi Vogliam Dio!»

Il contrasto si fa ancor più stridente quando i due s’imbattono nei briganti e in una fattucchiera.  «Qui siete ancora nel Medioevo», commenta Blanchard divertito, «coi maghi, i briganti…». E qui il Marchese riacquista d’un tratto la sua dignità, e si giustifica spiegando quant'è difficile nascere in una famiglia conservatrice come la sua.

«Mi padre me diceva studia e prega… mi madre manco quello... solo prega»

E’ questo che l’ha portato a sfogarsi prima nella lettura e poi negli scherzi.

«Perché, a Roma che voi fa’? Che c’è… Cupole, tetti, gatti, mendicanti…»

Tra i tanti scherzi del Marchese, due in particolare sono degni di nota: quello del falegname giudio Aronne Piperno, in cui Onofrio corrompe mezzo Vaticano solo per poter dire che «è morta la giustizia»; e quello di Gasperino, «un povero carbonaro preciso a me» che verrà sostituito al Marchese, destando lo sconcerto dei parenti e dando una lezione di uguaglianza. Parole come giustizia e uguaglianza sembrano un po’ anacronistiche, in bocca al Marchese, che in effetti a volte sembra il pupazzo di un ventriloquo, un vitellone con un copione ideologizzato. Si spiega così anche l’attacco agli artisti italiani:

«Se ve levano un pò de pecore co n’acquedotto, un ragazzetto  mezzo nudo cor ciufolo in bocca o du bovi all’ora del tramonto, voi siete belli che finiti!».  Un messaggio futurista che sembra attuale ed urgente nel 2009 come nel 1809. Ora che ci penso, il manifesto di Marinetti è del 1909. Sarà che ogni cento anni ci rendiamo conto di che razza di paese siamo? Ha ragione la vecchia Marchesa: all'estero c'è Napoleone, che prima o poi finisce col culo per terra... Mentre l'Italia è sempre la stessa, perché «morto un papa se ne fa sempre un altro».
Carico i commenti...  con calma