ATTENZIONE SEGUONO SPOILER!

Concetta Licata è un ricettacolo di cliché sui film di mafia.

L’idea della trama puzza un po’ di muffa, il susseguirsi delle vicende è alquanto telecomandato. Ha luogo il classico efferato assassinio da parte della mafia, le vittime due poliziotti. C’è ovviamente chi assiste suo malgrado al fatto, due fidanzati, Santino e Concetta. Si verificano le circostanze per cui l’uomo viene condotto in carcere. E qui ovviamente è presente il direttore di carcere di moralità opportunamente dubbia, più che disposto a torturare i propri carcerati, e più disposto ancora ad ottenere favori da parte delle loro mogli per non farlo.

Insomma c’è tutto l’occorrente perché prima i poi alcune persone finiscano per conoscersi in profondità.

E quindi in fin dei conti la trama ci può stare, il livello qualitativo dell’opera è minacciato da bel altri elementi. La recitazione degli attori , il maldestro doppiaggio degli stessi in un traballate e superstereotipato slang siculo, e poi la regia: inquadrature sempre fisse, mai un piano sequenza o anche solo un long take, per carità!.

Ma bastano due elementi a mettere al film i gradi del quasi capolavoro di genere.

Il personaggio del direttore del carcere interpretato magistralmente da un Ron Jeremy d’annata, bello ciccio, sudato, peloso, unto, perfetta esemplificazione della perversione. Godibilissimi i suoi modi da sudicio sporcaccione, armato di wurstel al posto delle dita, pesantemente inanellati con cafoneria adeguata all’occasione, con cui manovra i generosi seni delle sue vittime femminili come avesse per le mani sacchetti di bilie.

E poi la scena madre del film in cui la divina, nei panni di Concetta, si immola stivando l’armamento pesante del direttore del carcere in tutta la sua mole, senza precludergli alcuna via di accesso. Il corpo della protagonista è ovunque una delle più alte espressioni del concetto di rotondità, del concetto di armonia tra pieni e vuoti, e le inquadrature fisse, in questo caso opportune , del regista rendono giustizia a tanta bellezza.

In fin dei conti un buono spunto per fare un duro lavoro di falegnameria.

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