"La gente che viene da me, insomma, non è molto per l'avanguardia. Compra più che altro roba molto figurativa, spesso brutta anche"... Sandro Penna nel film.
Ci siamo, finalmente ci siamo qui col cinema, il cuore "batte". Doveva essere per forza un eroinomane incallito, un assente, un integerrimo difettoso, uno che la notte e il giorno erano la stessa cosa, c'era sempre la luce. Uno che se gli chiedevi l'ora ti rispondeva "scusa?", uno che aveva altri "conti" in testa, un fESSO, uno con una compassione tale che ti sorrideva col suo sorriso dell'infanzia alla domanda di cercare di razionalizzare un pochino per gli altri il significato di quello che faceva. "Ma cosa vedi Mario?" Quell'espressione pudica, timida, riservata che diceva tutto: "spiegare cosa? È tutto lì davanti, emulsionato, è tutto chiaro. Non vedete anche voi le stelle?"
Un flusso nell'immediato a disintegrare sicurezze presenti che se già le pensi presenti fanno parte del passato. Cercare di sviare la morte, dove il ricordo e i pensieri uccidono il rivelarsi della nostra anima, mettendo in scena "l'indisciplina" della diversificazione al teatrino montato dalle vanità, sentore di esistere attraverso l'impalpabilità delle sparizioni. Filmare silenzio.
E la fallace condotta esterna, le debolezze terrene che incantano i nostri giudizi qui non trovano appigli nella condanna, e noi lì doppiamente estasiati assistiamo al Satori di un amore impersonale proposto con un mezzo menomato di quello che può essere il cinematografo.
Tranci di anime, sprazzi di oblique prospettive che baluginano "a caso", dialoghi con l'eternità escludendo cronologie, epurando considerazioni. Amici dell'eternità, antichi fratelli, sconosciuti millenari si susseguono in un random psichico "senza capo né coda", un bel regalo. Ognuno muove la sua storia col silenzio esteriore, con il verbo interiore. Lo spettroscopio quantico cattura nei protagonisti il nulla che ci necessita.
Per restare nella settima arte (?), si annullano in automatico tutte quelle situazioni che raccontano storie, praticamente tutto il cinema, propinato per l'inganno della consolazione. Qui si ha la possibilità di appartarsi in libertà, la bastardaggine della miseria umana di influenzare, di plagiare, di barare, non c'è: caduta libera, senza rete... La giustificazione di cinema sperimentale serve per dare una funzione alle cose, ecco... dare una funzione a tutto, questo è il problema.
Mario Schifano e Franco Brocani nella "sceneggiatura" portano l'istinto, la rapidità, l'oggettività di una pittura trascendentale depensata dove l'acqua ragia della sua essenza scrosta vecchie vernici inconsapevoli della loro inquisizione.
La macchina da presa è poi lasciata da Schifano sciolta nel suo viaggio astrale di cattura di momenti che ci collegano a impensabili scenari umani, cogliendo a tratti colonne invisibili che sorreggono la baracca maya. "Quella è vita" dice ad un certo punto Sandro Penna, riportando l'impressione di Elsa Morante all'ascolto di una sua poesia, Elsa c'azzecca.
Non ci sono pose, le convenienze sono lasciate al mercato artefatto di affibbiazioni giuridiche. "A cosa servono i poeti?" Non la fate questa domanda, andrete all'inferno, non la fate mai...
Siamo benedetti dalla consapevolezza dell'instabilità del viaggio, ci arrendiamo partecipando all'infinito. Non si chiede niente in cambio, soffrirete per questo...
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