"Recidivo" è il primo disco di Mario Venuti che io abbia acquistato in vita mia e non mi sono affatto pentita dell'acquisto. Un gran bel disco, che mi sento di consigliare (il suo debutto in classifica FIMI appena al 36° posto grida vendetta, ma si sa benissimo che qualità e vendite non sempre vanno necessariamente a braccetto, anzi ... tutt'altro).

Avevo sempre bypassato Venuti nei miei acquisti discografici, nonostante io sia una aficionada del cantautorato italiano, in primo luogo perchè mi lasciava freddina la sua vocalità: non solo poco estesa (il che non è in sè un gran male, per me: amo parecchi altri artisti che condividono il medesimo "difetto", se tale si possa definire) ma anche abbastanza incolore, inespressiva e un po' troppo "sforzata" nell'emissione. A queste perplessità ne accompagnavo di più pregnanti, riferite ai suoi testi che in varie occasioni mi erano parsi, nel passato, un po' troppo autocompiaciuti, connotati dalla ricerca di temi, parole ed immagini ad effetto, vagamente artificiosi, messi apposta lì giusto per far dire "Quanto è bravo" ...

In "Recidivo" la voce di Venuti continua a non entusiasmarmi, ma nessuno di questi testi mi comunica artificiosità alcuna, con l'eccezione - forse - della title track e del duetto con Carmen Consoli, rispettivamente dedicati al tema della bisessualità ed a quello della prostituzione.
Tra i brani che più di ogni altro mi hanno colpita in questa ricca e bella opera cantautorale vorrei indicare quantomeno i seguenti:

- "La virtù dei limoni", dedicata al padre, affettuosamente apostrofato "ingegnere", ma sempre senza un filo di retorica o di facile elegia. Un dialogo fresco, sincero e toccante, intessuto di immagini a volte quotidiane a volte metaforiche ma sempre poetiche, sostenuto da un accompagnamento musicale mai invadente, che sale in crescendo nel ritornello senza però mai tradire la delicatezza che è nello spirito del brano;

- "Galatea", una rievocazione del mito di Aci e Galatea vista però dalla parte del ciclope (qui umanizzato ed ingentilito), caratterizzata da un'estrema dolcezza nella melodia, da un linguaggio semplice e da un bellissimo accompagnamento di delicati archi che sottolinea la peculiarità di questo Polifemo-io narrante, per una volta timido e smarrito;

- "Un cuore giovane", con le sue armonie discrete da ballo della mattonella anni '60 su cui si innesta un testo semplice ma bellissimo: un piccolo, vivido ordito intimistico di sensazioni ed emozioni che a tratti - in particolare nei primissimi versi - mi fa pensare a "L'illogica allegria" di Gaber (davvero azzeccato anche il duetto con Cesare Cremonini, artista che ho a sua volta imparato ad apprezzare per quel che vale solo a partire dal suo tour teatrale del 2005, e che forse non avevo mai sentito vocalmente così in stato di grazia, capace com'è di donare altri colori, molto caldi, alle già preziose immagini testuali).

- "Spleen #132", un ricamo sublime di raffinati archi sorregge un altro gran bel duetto, quello tra Venuti e Franco Battiato (il quale, nelle parti a lui riservate, sembra quasi cantare uno dei suoi brani, tanto lo sa rendere istantaneamente "suo"; o forse è stato inconsciamente Venuti - e questo vale pure per il brano cantato assieme a Cremonini - a fare rispettivamente proprie, nel comporre musica e testo, certe atmosfere e certi stili forse più usuali all'interno dei rispettivi repertori dei colleghi di duetto); qui la sottile malinconia - lo "spleen", per l'appunto - di un ordinario sabato sera consumistico all'italiana si stempera rapidamente in una riflessione autunnale animata da accenti di vago ma sentito ottimismo verso la vita e verso il futuro;

- "Il Milione", con un Venuti un po' Marco Polo ed un po' filosofeggiante sul senso della vita, che disegna quadri veramente suggestivi e poetici ancora una volta connotati dalla potenza delle immagini (sembra di vederseli davanti, quegli "uomini che profumano di vento/seduti attorno a un fuoco a consumare il tè ..." o quelle "donne che non fuggono lo sguardo/anche se il loro corpo è da nascondere ..."); il tutto nel dipanare la trama di un viaggio in Oriente. Un lieve pianoforte ed archi dapprima quasi impalpabili, poi via via sempre più maestosi fino a sembrare la colonna sonora di un filmone hollywoodiano, sottolineano con efficacia l'incanto testuale.

Le tracce che meno mi convincono nell'album sono, per converso, quelle ritmicamente più movimentate, fra le quali segnalo in particolare "Impulsi primari", "Recidivo", "Lasciami andare"; in esse, infatti, la ricerca di brio sul piano musicale non mi pare riesca ad elevarsi compiutamente dalle secche di un pop ordinario ed un po' banalotto, che finisce con il non far decollare mai, a mio avviso, gli stessi testi (in ogni caso apparsimi non all'altezza di quelli, viceversa davvero magnifici, delle canzoni da me sopra analizzate). 

Ma sto parlando di peccati comunque veniali all'interno di un disco che trovo molto bello nel suo complesso.

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