Un tempo passavo ore in palestra, come Battiato. Ma a differenza di Battiato, non c'erano di mezzo caviglie ortopediche.

Quel tempo non durò a lungo: un paio di mesi, all'incirca. Era la primavera del 2003. Quattro volte la settimana - rigorosamente di pomeriggio, compatibilmente con gli impegni.

Palestra in periferia, enorme finestrone affacciato sul più classico scenario esotico da cartolina: il piazzale semivuoto di una ditta di autotrasporti.

Tutta l'attrezzatura all'occorrenza, non manca nulla. Locale spazioso, mai troppo affollato. In fondo a destra c'è la sala-pesi, un vetro separa l'aristocrazia palestrata dal resto dei comuni mortali del fitness. Soliti energumeni che si aggirano con le mani in mano in pochi metri quadri di stanza. In realtà, si tratta del distaccamento del bar sito al piano-terra: se ne stanno per lo più seduti senza fare una mazza. Ogni tanto, sollevano qualcosa. Qualcosa che non siano le risate di chi li vedesse con quei completini da lanciatore del martello. Ma il solo star lì vuol dire far palestra, proprio palestra. "Tu che fai?" "Palestra." "Beh no, io faccio palestra, proprio palestra"...

Fuori dalla palestra, proprio palestra c'è la zona-Lao, territorio di quelli che non hanno nulla da esibire all'infuori del programma appena compilato dall'istruttore, avvolto in custodia trasparente plastificata. Ci vado con la maglietta del Nottingham Forest stagione '95/'96, tanto per darmi un tono. Rispetto a un mio collega che sta facendo spinning lì nell'angolo, e che sfoggia una t-shirt sbiadita con su scritto "Recuerdo de Santiago de Compostela".

"Ma che, ci sei stato...?" - faccio. "Sì. Bello il posto, eh. La cattedrale, il paesaggio, tutto. Poi la storia dei pastorelli, la Madonna che appare, uh... commovente".
"Ah. Ma pensa".

L'altra cosa che si può esibire nella zona-Lao, oltre al programma compilato dall'istruttore e ai sorprendenti racconti di viaggi mai fatti, è la propria cultura musicale.

In proposito c'è il solito gruppetto di impiegati di banca, o magari delle poste ma più con la faccia da impiegati di banca, che le canta a tutti. La scalinata che dalla sala porta agli spogliatoi si trasforma nel tratto ideale per le approfondite disquisizioni sul tema; il luogo dove, fra una discografia dei Queen e un Bon Jovi d'annata già pronto nel lettore del BMW parcheggiato di sotto, ad assurgere al ruolo di status-symbol sono i fantastici Daira Strezza di Marc Nòffe.

"Oh belli, eh...?" "Uhh... c'ho la discografia completa, sissì..." "Braders In 'Armese, cazzo di disco..." "Eh però, Mèkin Mùvi..." "Ah vabbè..."

Con la discografia completa dei Daira Strezza distribuita su una manciata di uscite, TV Sorrisi e Canzoni aveva fatto la felicità dei musicofili impiegati di banca col mito della chitarra di Marc Nòffe.

Ma la musica della zona-Lao, nel 2003, era anche quella passata dalla radio ufficiale della palestra: una nota emittente umbra che tuttora trasmette dalle mie parti.

Antonacci e Ramazzotti pane quotidiano, al pari dei Vibratori - anche noti come Le Vibrazioni - che quell'anno spopolarono con Giulia e quella canzone che non s'intitolava proprio Giulia, ma parlava di una certa Giulia. E martellò. Ma Radio-Palestra voleva mostrare di sapersi spingere anche oltre, di azzardare persino velleità più sofisticate, con un Sergio Cammariere giustappunto reduce dall'ultimo Sanremo. Quando passavano Cammariere, la stessa direzione della palestra sconsigliava il sollevamento pesi, per evitare improvvisi colpi di sonno con l'attrezzo in mano.

Poi certo, gli stranieri: c'era la biondina canadese Aprì La Vigna, c'era Ben Harper con Diamonds On The Inside, c'erano i Simply Red riesumati, ma erano ben poca cosa rispetto al (nostrano) mostro da 200 tonnellate di stazza che tirannizzò le frequenze del periodo. VERAMENTE. Mario Venuti. Ahh.

In punta di piedi aveva fatto la sua comparsa già tra febbraio e marzo, ma fu con la primavera che s'impose come uno dei tormentoni più virali e ossessivi di quell'anno, almeno fino a quando 'Bonito' di Jarabe de Palo (e qui, un sussulto) non arrivò a mettere in discussione il suo regno. 'Veramente' era veramente ovunque. Era una presenza costante. Ti seguiva fin dentro lo spogliatoio, quando pensavi che il bombardamento fosse finito e non restasse che un Bennato di defaticamento. A ogni nuovo 'Veramente' restavi di sasso, e lo spettro tornava a materializzarsi.

Con quelle parole profonde, con quel testo che voleva essere a suo modo ricercato (sì..?), con quel modo che lui aveva di pronunciare quel "veramente!", che non era un "veramente" come tanti, il Venuti di 'Veramente' si impose veramente: "facevo finta di fregarmene di te per rendermi più interessante, ma adesso sono solo VERAMENTE".

Ahh, però. Che parole.

A Mario Venuti ripenso ogni volta che penso a quel tempo in cui passavo ore in palestra.

Ah giusto, la palestra. Ci tornai due anni dopo, ma in un'altra palestra. Piegamenti in serie da 50 inframezzati da corsa veloce per sedute da 2 ore l'una. A me che non avevo fatto mai niente sembrava di essere in Full Metal Jacket, ma non c'era Palla di Lardo. C'erano invece i Pink Floyd di Delicate Sound Of Thunder, a rotazione infinita, da una cassettina sopravvissuta agli anni '80 che l'istruttore conservava nel suo armadietto. Al 32esimo passaggio di One Of These Days mi schiantai al suolo.

Non sono più tornato in palestra, da allora.

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