Succede che Mark Eitzel, per farsi una vacanza in Grecia a scrocco, accetti l’invito di un amico a realizzare un lavoro che riprende brani del suo repertorio (sia con gli American Music Club che solista) con un’orchestra di musica tradizionale locale.
Ne viene fuori “The Ugly American”. Un disco odiato dalla stessa band di Eitzel, un disco detestato profondamente soprattutto dai fan. Orribile fin dalla copertina.
Io credo che sia la sua opera migliore mai prodotta. Mi conforta sapere che egli stesso lo adori!
Confesso di aver ascoltato gli AMC soltanto dopo “The Ugly American” e, forse, aver scoperto perle come “Western Sky” o “Nightwatchman” dapprima in questa veste ha condizionato le mie opinioni… Coloro che hanno seguito il percorso più giusto del mio le troveranno snaturate rispetto alle versioni originarie del gruppo madre. Comprensibile. Allora comprenderanno anche me, se li invito a vivere quest’albo come il disco estivo d’Eitzel in vacanza.
Fa sorridere pensare ad una versione beachboysiana degli AMC e, infatti, non si tratta di questo. Non c’è California qui. Neanche questa volta. Piuttosto sembra che l’Europa più cantautorale sia da sempre il luogo d’appartenenza di quel “brutto americano”. Non pensate neppure a divertissement summer-groove del tipo Nouvelle Vague. Niente di così lontano dallo spirito di questo lavoro. Le canzoni qui non passano per un maquillage a base di Souvlaki e Tzatziki al posto delle olive col Martini-Cocktail, ma sono proprio un differente sentire, quello a cui, forse da sempre, erano destinate ad accostarsi.
L’estate di quest’opera noir è trasfigurata come una specie di esorcismo: la sua abbronzatura è azzurrina, il suo modo di struggersi sembra fatto apposta per sposarsi con le musiche dell’orchestrina dell’Egeo presente in ogni brano. Il suono è fresco, arioso e pulitissimo. La brezza marina è palpabile. Di una tristezza infinita e niente affatto cupa, ma solare, diurna, diafana. Si comincia con i violini (ehm) tzigani di “Western Sky”: oddio sembra Demis Roussos, invece è proprio la canzone più famosa degli AMC. Eitzel parla del cielo, ma è il mare che si respira. Come un Sirtaki-Morrissey, se riuscite ad immaginarlo, o un Mark Kozelek che canta con i Beirut. Da brividi.
Poi il rituale “Here They Roll Down”: qui ci allontaniamo dal mare ed è il bosco a cantare. Tutto un ronzìo di bouzouki come insetti impazziti col Mark che sembra un Peter Gabriel dalle parti di “Passion” e di certo “Us”.
Di siffatto trattamento ne godono poi un paio di brani minori del canzoniere di Eitzel (“Anything”, “Take Courage”) misti ad un altro paio di immortali gemme targate AMC (“Jenny”, “Last Harbor”), fino a quella “Nightwatchman” completamente spogliata dall’urbana inquietudine wave del suo disco-padre “Engine”: qui resa così epica che per un attimo sfiora quel tipo di enfasi che non riesce a travolgere. Scampando il pericolo.
Odiate l’estate ma trovate insostenibili i vostri ascolti invernali più dolorosi ? Uscite pure dalle camerette la prossima stagione e partite che questo disco è per voi. Un last-minute dell’anima: costa poco ma vi porta lontano.
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