Che differenza c'è tra il post-fordismo e il fordismo? Be' è come paragonare i criminali di Heat a quelli del Padrino. Una banda senza radici né legami, al posto della famiglia all'antica, con le sue tradizioni e i suoi valori.

L'ho scoperto per caso, questo libro, girando nella libreria di Milano Centrale in attesa del treno per Napoli. Mi ha attirato fin dalla copertina, una bellissima opera di Jon Rafman con rifiuti, mozziconi e tastiere di pc gettate in una natura crepuscolare e primigenia.

Un saggio fondamentale sul tardo capitalismo, che in Italia è stato pubblicato da una piccola casa editrice solo nel 2018, un anno dopo la morte per suicidio dell'autore e ben nove dopo la prima pubblicazione del volume. Che spiega il crepuscolo perpetuo del sistema capitalista, partendo dal presupposto che “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo”. E lo fa senza usare un tecnicismo che sia uno, anzi usando metafore musicali e pescando a piene mani dall'immaginario cinematografico.

Non è un libro di economia, tutt'altro. Parla di noi, in tutte le degenerazioni che viviamo come normali, ma normali non sono, bensì frutto di una sclerotizzazione di un sistema che viene narrato come inevitabile quando inevitabile non è. Chirurgica la definizione di alcuni fenomeni socio-culturali che abbiamo visto e vediamo tutti i giorni, ma forse sottovalutiamo.

Colpisce particolarmente la sua visione delle nevrosi dell'uomo di oggi: malattie mentali, depressione, psicosi che sono in aumento vertiginoso ma vengono raccontate come casi singoli, mentre Fisher le individua come malattie di un sistema che porta lo stress al parossismo. Ma il sistema non si discute, e se non reggi lo stress è colpa tua. Sei debole tu.

E così la burocrazia del controllo e dell'autocontrollo (a scuola per esempio, Fisher insegnava) che diventa una prassi vuota, e la tensione del controllato finisce per concentrarsi più sul risultare idoneo al controllo che sul fare davvero bene il suo lavoro. Anche qui l'esempio perfetto sono i professori, ma ce ne sono tanti altri.

Brillante la lettura delle controculture: il capitalismo è invincibile perché ingloba tutto e trasforma tutto in oggetto da mercanteggiare. Anche l'opera di un contestatore (lui cita Kurt Cobain) diventa moda, tormentone, e immediatamente viene disinnescata del suo potenziale corrosivo.

Straziante l'analisi delle figure genitoriali, ormai incapaci di dare una prospettiva ai figli che sia diversa da un pigro edonismo permissivo. E poi magari chiedono agli insegnanti di dare loro quei valori che loro stessi non hanno saputo inculcare nei loro bambini.

Fisher vuole combattere l'idea che il capitalismo non sia più discutibile (cita le parole della Thatcher di fronte ai minatori in sciopero negli anni Ottanta) ma forse questo saggio - pur brillante - riesce solo a descrivere il paradosso, senza avere una vera soluzione. Suona più come un requiem all'evoluzione socio-economica e culturale dell'uomo occidentale. Ne è riprova la parte dedicata alla crisi finanziaria del 2008: “Dopo il salvataggio delle banche, il neoliberismo si è trovato screditato. Questo non vuol dire che il neoliberismo sia da un giorno all'altro scomparso: al contrario, i suoi presupposti continuano a dominare la politica economica: ma non lo fanno più come ingrediente di un progetto ideologico mosso dalla fiducia per le proprie prospettive future, quanto come una specie di ripiego inerziale, di morto che cammina” (p. 148).

Parole pesanti e verissime. Parole che nel 2009 non avevano ancora fatto del tutto i conti con altre degenerazioni, come quella legata ai social e al web, che comunque vengono saggiamente accennate in anticipo, parlando ad esempio del narcisismo di Facebook e del conseguente crollo dell'offerta culturale televisiva. Oltre a questo, il libro spiega benissimo lo svuotarsi di qualsiasi contenuto ideologico e valoriale del sistema economico. Un fare soldi per fare soldi, senza radici, perché non sappiamo fare altro. Perché ci hanno detto che è normale così. Che tutto ha un prezzo, un valore di mercato.

Oggi, dieci anni dopo, queste verità sono lampanti nella crisi profonda delle sinistre europee e in generale nell'impossibilità di dare una lettura nuova, diversa da quella meramente capitalista e liberista. Che si associa a un conservatorismo che Fisher non riteneva condizione necessaria al Capitale, ma che ha avuto campo libero grazie al fallimento (questo lo dico io) delle socialdemocrazie nel dare una lettura - e quindi un'alternativa - al tardo, decadente capitalismo che stiamo vivendo.

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